Un Papa da prendere al volo

di ANDREA FILLORAMO

Papa Francesco non piace a tutti e le voci si alzano prepotenti, tanto che l’ex vescovo di Ciudad del Este in Paraguay, monsignor Rogelio Ricardo Livieres Plano, rimosso da Bergoglio con l’accusa di malversazione, cioè di appropriazione indebita e uso illegittimo di denaro e beni amministrati per conto della diocesi e soprattutto di aver coperto la pedofilia del suo vicario generale, dichiara che per responsabilità del Papa “nella Chiesa si potrebbe arrivare a un grande scisma” e continua: “dentro la Chiesa, e ultimamente dalle sue più alte sfere, soffiano venti nuovi che non appartengono allo Spirito”. Ciò potrebbe accadere – secondo il prelato- dopo questo Sinodo sulla famiglia e quello successivo, sempre sullo stesso tema, che si terrà nell’ottobre del 2015. Il vescovo accusa il Pontefice di aver preso, dimettendolo, una decisione “infondata e arbitraria”, commettendo un vero e proprio “abuso di potere” e aggiunge:“Il Papa dovrà rendere conto a Dio, più che a me”, “al di là dei tanti errori umani che posso aver commesso, e per i quali chiedo perdono a Dio, ancora una volta affermo davanti a chi vorrà ascoltare che la sostanza del caso è stata un’opposizione e persecuzione ideologica”.Un attacco durissimo per Bergoglio che, come continua il vescovo: “nonostante i tanti discorsi sul dialogo, la misericordia, l’apertura, la decentralizzazione e il rispetto nei confronti dell’autorità delle Chiese locali, non ho mai incontrato, quanto meno per chiarirgli qualche dubbio o preoccupazione”. Ma non è solo il vescovo paraguagio a dare questo giudizio. C’è forse in modo esclusivo, il “circolo tradizionalista”, quello, cioè, formato particolarmente da quei vescovie cardinali- e sono tanti- che non vedono di buon occhio o disapprovano lo stile di comportamento del papa; temono che esso sia imposto a ciascuno di loro. Non accettano, quindi, che il papa argentino agisca con tanta umiltà, si spogli delle belle vesti per cingersi i panni di chi lava i piedi ai suoi nel silenzio e nel nascondimento, che curi le piaghe, che faccia visita ai poveri nelle loro case. Essi non vogliono abbandonare i loro storici “episcopi” per andare ad abitare in un semplice appartamento, sperano di potere ancora indossare le croci pettorali d’oro, che, da quando c’è questo pontefice, non esibiscono più ma conservano con cura in attesache il vento “pauperistico” cessidel tutto. Essi, oltretutto, temono di diventare, per intervento del papa, che non ama il “promoveatur ut amoveatur”, emeriti anche se ancora non hanno raggiunto l’età canonica che li obbliga alle dimissioni. Vorrebbero che si fermi il cambiamento di linea di Papa Francesco, che, pur non avendo finora cancellato neppure uno iota della dottrina, ha nondimeno suscitato ampie aspettative tra i settori più progressisti del cattolicesimo mondiale. Tutti vogliono avere, nelle loro diocesi, più vescovi-pastori che vescovi provenienti da cattedre d’insegnamento nelle facoltà teologiche o dalle curie diocesane, espressione massima del “carrierismo” clericale, dove, per esempio, l’approdo di un vicario generale è l’episcopato e, se per motivi romani, non è possibile, questo diventa un problema per il vescovo ordinario, che non sa dove collocarlo una volta che si dimette.Sappiamo che il cambio di linea imposto da Papa Francesco, ha messo alle strette tutti gli episcopati nazionali, anche, quindi, quegli episcopati dell’Italia, della Spagna e degli Stati Uniti, che erroneamente nel passato erano considerati dei modelli nel modo di affrontare le scelte antropologiche del mondo contemporaneo ma che adesso si scoprono “poco allineati alla leadership papale”. A questi vescovi, che chiamiamo “tradizionalistI” fanno eco alcuni giornalisti, che trasferiscono tutto nel piano teologico o in quello della comunicazione. Per esempio, in Italia Mattia Rossi sostiene una tesi cara agli ambienti tradizionalisti: Francesco, ai limiti dell’eresia, sta fondando “una nuova religione, una neo-chiesa in netta rottura non solo con i predecessori ma con il magistero cattolico perenne”. Cita esempi, come la scomparsa dal pensiero di Bergoglio del peccato originale, e ne sindaca la fratellanza “umanitarista e sentimentalista, tanto sbandierata quanto inaccettabile”. Roberto de Matteiesprime “una posizione di forte riserva nei confronti della strategia comunicativa del Pontefice” e definisce il Papa “molto pericoloso”, perché “chi domina il mondo della comunicazione non è il Papa né tantomeno i cattolici, ma lobby e potentati laicisti in grado di farne un uso distorto”. Sandro Magister, vaticanista di L’Espresso, aggiunge: “La forza di Francesco sta nel non prendere mai posizione. Dice cose che vanno incontro alle attese di chi ascolta, evitando di toccare in modo netto temi che possono portare divisioni. Fa cenni vaghi. Ma questa modalità di comunicare non può durare in eterno e rischia di scontentare sia a destra sia a sinistra”. A queste voci si oppone quella di Alberto Melloni, storico del Cristianesimo e autore di “Quel che resta di Dio” (Einaudi), che scrive: “Il tradizionalismo cattolico è sempre stato eversore. Ha accusato Papa Giovanni d’essere un agente sovietico (ricordo un libretto dal titolo Nikita Roncalli), Paolo VI l’Anticristo, Wojtyla un sincretista quando fece la preghiera di Assisi. La moda di prendersela col Papa è antica, non ci vedo molto di nuovo. Ed è una forma di semplicismo ideologico dire: la tradizione ha sempre voluto e detto solo questo. Non è vero. Ciò che il Papa insegna è la caratteristica pluriforme della Verità cristiana, in un atteggiamento di continua ricerca di Dio. Questi tradizionalisti, graffitari della Chiesa che vanno a scrivere la loro protesta sui muri, sono niente”.Speriamo veramente che con il Papa Francesco e con l’aiuto dei vescovi si realizzi il sogno che dal Concilio Vaticano II molti hanno coltivato, quello, cioè, di una chiesa più evangelica, meno gerarchica, meno imbottita di dogmi, una chiesa “altra”, diversa, dove ci sentiamo tutti fratelli, una chiesa dove vescovi e preti non sono una casta sacerdotale di potere, ma svolgono una funzione, un ministero, una chiesa che non difende la sua struttura di istituzione: cioè l’impianto ideologico – dogmatico. Il desiderio di tanti è quello di una chiesa che non rivendica per se stessa alcun privilegio, ma che accetta di camminare nella storia con il suo Signore, al servizio degli uomini, nell’umiltà e nella povertà di mezzi. Tutti sperano in una chiesa che, rinunciando alla potenza, intraprenda la via “kenotica”, che è probabilmente l’unica in grado di esprimere la comunione di Dio con il suo popolo.