Andrea Filloramo: Nessun malanimo desiderio che il vescovo La Piana faccia chiarezza

di ANDREA FILLORAMO

Ho sempre sostenuto che alle “lettere anonime” e, quindi, anche alle “email anonime”, non bisogna mai rispondere e che di esse bisogna non tener conto. Ma non è così se un tale, dopo la lettura dei miei articoli, su IMG Press scrive un’email anonima, in cui si professa prete e sostiene che io mi sono stato auto-costituito “portavoce del clero messinese”, di “non condividere una sola riga di ciò che dico riguardo ai rapporti clero-vescovo” e di volere così “screditare un’intera archidiocesi”. L’anonimo è libero di pensare quel che vuole, ma devo necessariamente dirgli che nella mia vita non sono stato mai portavoce di nessuno, ho mostrato sempre il mio volto e non ho indotto nessuno a pensarla come me. A differenza di lui, ho sempre firmato i miei scritti, prendendomi la responsabilità di quel che scrivo. Non ho motivo di preoccuparmi, quindi, nel caso in cui mi trovassi a dover ritrattare qualcosa, considerando anche che non ho la pretesa del dono dell’infallibilità. So che posso sbagliare ma nel momento in cui mi rendo consapevole d’aver sbagliato sono pronto a “fare marcia indietro”, ricordando quanto scrive S. Agostino quando afferma “Humanum est errare, diabolicum per animositatem in errore manere”. Mi conceda questo prete anonimo di chiedergli: “dove nei miei scritti c’è l”animositas” cioè l’“ostilità”, il “malanimo”, nei confronti del vescovo o dell’archidiocesi di Messina? Perché dovrei “screditare” l’uno e l’altra? Sappia questo sacerdote che ho un grande rispetto nei confronti della “funzione” del vescovo e riconosco l’importanza della “struttura” diocesana e particolarmente della diocesi di Messina, che è stata e la sento ancora, la mia diocesi. Sappia ancora che, per i miei “studi”, e per una mia abitudine, sono uno che guarda ai “fatti”, che cerca di capirli. Kant ci insegna che c’è il fenomeno (ciò che si vede) e c’è il noumeno (ciò che in realtà esiste). Quale è il “fenomeno” emerso, nel periodo, in cui sono stato a Messina? È stato il caso “Sinitò”. Questo prete, che io ho conosciuto ben 25 anni fa, in tutti i giornali, anche a tiratura nazionale e in molti siti di “Internet”, è stato presentato ingiustamente, come uno che tradiva la sua vocazione. “facendosi un’amante”, e che, per tali motivi, il vescovo, non l’ha trasferito, come all’inizio pensavo, ma, da quel che si è saputo, l’ha “licenziato”. Non ha tenuto conto neppure della legittima richiesta di chiarimento da parte di ben 1100 fedeli, che si sono sentiti costretti di appellarsi al Papa o della “vecchia madre” di don Salvatore, che non riesce ancora a capire perché il figliolo è caduto in questa “rete”, dalla quale non gli si concede ancora di uscire. Pochi sono stati i preti che gli hanno manifestato solidarietà e, pertanto, questo umile e “ubbidiente” sacerdote rischia ancora di cadere nella depressione. Quale è il noumeno? I miei articoli, anche quelli che possono essere andati al di là delle righe (e di questo me ne scuso) sono stati motivati dal desiderio che il vescovo facesse chiarezza su questa dolorosa situazione. Tale richiesta veniva fatta – lo ribadisco – da molti sacerdoti che io conosco, che, in uno dei miei primi articoli esprimevano quella che ho chiamato allora una “ribellione silente”. Certamente il termine “ribellione “, che si legge anche nell’ultimo mio articolo, che riferisce di un movimento, sorto nel 2005 in Austria, che non deve evocare separazioni, plateali disubbidienze, negazioni di dogmi o scismi, è molto forte, enfatico, provocatorio. Vogliamo stemperare il termine? Un sinonimo potrebbe essere quello di “insofferenza”. Se è così, fra “gli insofferenti” è indubbio che c’è Papa Francesco, da me citato continuamente nei miei scritti, che parla di “rivolta della speranza”, che si deve provocare nella Chiesa. Questo è il fine che tanti uomini di “buona volontà” si pongono e questo è il fine che io mi sono posto scrivendo i miei articoli.