ELEZIONI E PUNIZIONE DEI VESCOVI

di ANDREA FILLORAMO

Ho riletto, con molta attenzione l’intervista a don Ettore Sentimentale, pubblicata il 25/9/2014 in IMG Press, che ha per titolo: “Cristiani noi siamo nessuno senza il vescovo… Vescovo tu sei nessuno senza il tuo popolo”. Alla domanda: “chi elegge il vescovo e con quali criteri?” egli risponde che oggi il percorso di elezione di un vescovo è, a differenza di quanto avveniva nel lontano passato, alquanto “clericizzato”; è un "fatto interno", cioè, alla Chiesa, nel rispetto del decreto “Christus Dominus” del Concilio Vaticano II, che ha riaffermato la libertà ecclesiale: "il diritto di nominare e di costituire i vescovi è proprio, peculiare e di per sé esclusivo della competente autorità ecclesiastica" (§ 20). Le relative pratiche sono istruite all’interno della Curia romana dalla Congregazione per i vescovi, con una procedura definita dal codice (can. 377). Nelle “Normae de promovendis ad Episcopatum in Ecclesia latina” del 25 marzo 1972 “ leggiamo: “L’esame dei candidati deve permettere di discernere se essi posseggano le doti necessarie che distinguono un buon pastore di anime e un maestro nella fede: se cioè godano di buona riputazione; se siano di condotta irreprensibile; se abbiano retto discernimento, prudenza, carattere equilibrato e costante; se siano saldi nella fede ortodossa, se devoti alla sede apostolica e fedeli al magistero della Chiesa; se siano profondamente versati nella teologia dogmatica e morale, e nel diritto canonico, se spicchino per la loro pietà, per il loro spirito di sacrificio e per lo zelo pastorale, se abbiano l’attitudine a governare. Occorre anche tener conto delle qualità intellettuali, del corso di studi compiuti, della sensibilità sociale, della disposizione al dialogo e alla collaborazione, della apertura ai segni dei tempi, della lodevole preoccupazione di restare al di sopra delle parti, dell’ambiente familiare, della salute, dell’età, e di caratteristiche ereditarie”. Con la consacrazione episcopale i Vescovi ricevono l’ufficio di santificare e l’ufficio di insegnare e governare, questi ultimi però non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica con il Capo e con gli altri membri del Collegio (can. 375). Oltre alla consacrazione episcopale occorre che intervenga anche la missione canonica (missio canonica) da parte dell’autorità gerarchica (il Pontefice). Questo ulteriore requisito è richiesto “ex natura rei”, trattandosi di uffici che devono essere esercitati da più soggetti, per volontà di Cristo gerarchicamente cooperanti; senza la comunione gerarchica l’ufficio sacramentale – ontologico non può essere esercitato. Come facilmente si può osservare i “filtri di selezione”, dei vescovi , da eleggere per governare le diocesi, sono tanti e sono molto rigorosi. Essi caratterizzano il potere discrezionale del Pontefice e la sua giustificata presunzione di poter scegliere dei “pastori“ degni e con peculiari caratteristiche di servizio pastorale. Se questo non avviene; se, cioè, dalla complicata maglia normativo-procedurale viene fuori un vescovo “indegno” o “pedofilo” o “ incapace” di governare una diocesi, la responsabilità è interamente della Chiesa, che non tiene conto delle “ smagliature”, che possono essere presenti nel “protocollo” di elezione, caratterizzato da un possibile clientelismo clericale. Se la scelta di un vescovo è determinata da altri vescovi, “amici”, o da vescovi “amici degli amici”, che non hanno bisogno di “indagare” sul passato del candidato all’episcopato ma ne garantiscono il “placet” non ci meravigliamo di nulla. Nei palazzi pontifici da tempo circola una frase di un eminentissimo cardinale che suona così: ”Tra gli apostoli uno su dodici tradì, e oggi tra i successori degli apostoli la media non è certo migliore". Essa fa riferimento a tanti vescovi “puniti” dal papa, che da quanto è implicito nell’espressione del cardinale, dovrebbero essere numerosi. E’ lecito chiederci: per quali motivi i vescovi vengono puniti e come? I motivi possono dottrinali, morali, di malgoverno ecclesiastico o amministrativo. In questi casi normalmente il vescovo è invitato a lasciare la guida di una diocesi e viene convinto a rassegnare le dimissioni al papa prima del compimento dell’età pensionabile di 75 anni in base al noto comma 2 del canone 401 del codice di diritto canonico che recita: "Il vescovo diocesano che per infermità o altra grave causa risultasse meno idoneo all’adempimento del suo ufficio, è vivamente invitato a presentare la rinuncia all’ufficio". E il papa accoglie le sue dimissioni molto rapidamente. Normalmente questo comma 2 del canone 401 riguarda vescovi, colpiti appunto da "infermità" fisica o psichica, ma non mancano i casi di "altra grave causa" e a queste gravi cause ci riferiamo quando si parla di “punizione”- Consultando la “ rete” ho individuato ben 62 casi di vescovi ai quali è stato applicato il comma due per “grave causa”. Ricordiamone alcuni: quelli degli arcivescovi statunitensi di Atlanta e di Santa Fe, dell’arcivescovo di La Serena in Cile, di due vescovi di Palm Beach negli USA, del vescovo di Santa Rosa negli USA , dell’arcivescovo polacco di Poznan, dell’arcivescovo di Milwaukee negli USA, di quello di Lexington sempre negli USA, dell’arcivescovo argentino di Santa Fe etc… Sarebbe ancor più lunga la lista dei vescovi “puniti“ se facessimo riferimento solo alle “decisioni” prese da papa Francesco. “Ricordiamo che l’attuale papa è un Papa che governa e che sa prendere anche decisioni dolorose” spiega alla “Stampa” padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”. “Ma Papa Bergoglio – aggiunge il gesuita – non usa la mannaia. Piuttosto sa quanto sia importante agire secondo giustizia di fronte a casi come quello dell’ex nunzio a Santo Domingo”. Ricordiamo che questi è stato dal Papa incarcerato. A tal proposito scrive Andrea Toninelli: “l clamoroso arresto di tre giorni fa in Vaticano dell’ex nunzio Józef Wesolowski già dimesso dallo stato clericale per abusi su minori, e “l’avvicendamento” del vescovo paraguayano Rogelio Livieres, rimosso perché aveva diviso la Chiesa accusando tutti gli altri vescovi del suo Paese di non essere dottrinalmente ortodossi, ha dato l’impressione di una sorta di accelerazione nelle settimane che precedono il Sinodo sulla famiglia. La severità – a norma di codice – nei confronti dell’ex arcivescovo polacco è un segnale forte, che dice come sia ormai tramontata l’era dell’impunità e degli insabbiamenti degli scorsi decenni. L’arresto di Wesolowski è l’ultimo passo di un cammino iniziato con coraggio da Benedetto XVI, che nei sette anni del suo pontificato ha dimesso centinaia di preti e anche numerosi vescovi. In questi ultimi giorni sono state pubblicate le nuove disposizioni sulla rinuncia dei vescovi diocesani e dei titolari di uffici di nomina pontificia. Un testo del Papa Francesco che entra subito in vigore. Si tratta della razionalizzazione di una serie di norme e consuetudini. il Papa, con le nuove disposizioni, mette definitivamente in chiaro quando e come i vescovi si debbano dimettere. Egli scrive: ”Degno di apprezzamento ecclesiale è il gesto di chi, spinto dall’amore e dal desiderio di un miglior servizio alla comunità, ritiene necessario per infermità o altro grave motivo rinunciare all’ufficio di Pastore prima di raggiungere l’età di settantacinque anni. In tali casi i fedeli sono chiamati a manifestare solidarietà e comprensione per chi è stato loro Pastore, assistendolo puntualmente secondo le esigenze della carità e della giustizia, secondo quanto disposto del can. 402 §2 Codice di diritto canonico”. Come si può capire quello del papa è un modo per aggiungere un tono pastorale a quella che è già una consuetudine, un invito alle dimissioni, per evitare lo scandalo.