di ANDREA FILLORAMO
“Fra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Il proverbio afferma che c’è una grande differenza tra l’enunciazione di un progetto o dei principi e la sua realizzazione e con esso talvolta viene riconosciuta l’incoerenza di chi “predica bene ma razzola male”. Ciò sicuramente non si può dire di Papa Francesco che, durante il volo che lo riportava a casa dalla terra santa, dichiara guerra ai sacerdoti pedofili e paragona la violenza di un prete su un bambino a una “messa nera”, un vero “sacrilegio” e, immediatamente dopo, attua dei provvedimenti concreti contro la pedofilia nella chiesa cattolica. Ecco le sue parole “Non c’è posto nel ministero della Chiesa per coloro che commettono abusi sessuali; e mi impegno a non tollerare il danno recato a un minore da parte di chiunque, indipendentemente dal suo stato clericale. Per tutti noi vale il consiglio che Gesù dà a coloro che danno scandalo, la macina da molino e il mare”. Un durissimo anatema di Bergoglio contro la pedofilia, inoltre, lo lancia in un lungo colloquio con Eugenio Scalfari, pubblicato da Repubblica. "La pedofilia è una lebbra che c’è nella Chiesa e colpisce anche vescovi e cardinali". “La corruzione del fanciullo è quanto di più terribile e immondo si possa immaginare e questi fatti succedono anche in famiglia" ma "come Gesù userò il bastone contro i preti pedofili, tra cui ci sono anche vescovi e cardinali". Seguono a queste parole i fatti clamorosi: l’arresto in Vaticano dell’ex nunzio apostolico nella Repubblica Domenicana, Józef Wesolowski, la rimozione del vescovo di Ciudad del Este, la seconda città del Paraguay, monsignor Rogelio Ricardo Livieres Plano e altri fatti. Il Papa, quindi, per quanto riguarda la pedofilia, non fa sconti a nessuno, neppure alle più alte cariche della curia di Roma. Egli continua la battaglia di papa Benedetto XVI, che è stato obbligato a provare l’ultimo disperato tentativo di invertire la rotta della chiesa cattolica. Non dimentichiamo, infatti, che era stato Ratzinger, l’allora capo della Congregazione per la dottrina della fede, che, con una ben precisa circolare inviata ai vescovi di tutto il mondo il 18 maggio 2001, non solo imponeva il segreto su questi orribili argomenti, ma avvertiva anche che a volere una tale direttiva era il papa di allora in persona, cioè Giovanni Paolo II. Da notare che per quell’ordine scritto, diramato a tutti i vescovi assieme all’allora suo vice, cardinale Tarcisio Bertone, Ratzinger nel 2005 è stato incriminato negli Stati Uniti per cospirazione contro la giustizia in un processo contro preti pedofili in quel di Houston, nel Texas. Ricordiamo ancora che Mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana. nel mese di maggio 2002 ha dichiarato]: “I preti pedofili sono un fatto assolutamente marginale che non richiede interventi da parte delle istanze centrali della Chiesa italiana. Si tratta di un fenomeno estremamente limitato e i vescovi riaffermano la loro fiducia nella stragrande maggioranza dei preti, che servono con fedeltà la Chiesa e l’educazione dei giovani”. “Il Consiglio permanente non ha mai parlato di casi di pedofilia, alla Cei non c’è nessun elenco in proposito, non abbiano né casi in evidenza né una procedura di monitoraggio”. “La Cei non esercita sorveglianza sui vescovi, non è una superconferenza che li controlla, perché è responsabilità di ogni singolo vescovo affrontare la questione”. Per mettere in atto il suo piano Bergoglio promulga una profonda riforma del codice penale e del codice di procedura penale in vigore in Vaticano (che recepisce i codici italiani del 1929). In particolare modifica e inasprisce le pene per abusi sessuali (da 8 a 20 anni di reclusione) e stabilisce che i cittadini vaticani o i diplomatici della Santa Sede possono essere processati dinanzi al tribunale penale del Vaticano anche quando compiono reati all’estero. L’arresto del nunzio getta immediatamente nel panico la parte pedofila del clero cattolico, che teme di cadere nella rete della giustizia vaticana, che non “tollera” e non “perdona”; Le decisioni del papa sono come un terremoto, quando cadono per terra cornicioni, numerose crepe appaiono sui muri e soprattutto tantissima gente va per strada, spaventata ed allo stesso tempo stupita. Come c’era da aspettarsi appaiono nella Chiesa anche i garantisti, che si esercitano nella difesa delle prerogative degli imputati solo perché appartengono al loro “giro”. La decisione di arrestare un arcivescovo in Vaticano, a loro dire, è un gesto inutilmente plateale che va a colpire un componente del corpo diplomatico della Santa sede e rischia di mettere in crisi l’autorevolezza del Vaticano nel mondo. Il Papa, però non si ferma né intende fermarsi; istituisce all’interno della “Congregazione per la dottrina della fede” uno speciale collegio, formato da 7 cardinali e vescovi, per velocizzare i numerosi processi sui sacerdoti accusati di pedofilia. Egli conosce bene la tragica situazione della Chiesa “infangata” da una schiera interminabile di preti e vescovi che si sono macchiati di un gravissimo reato. Dal 2004, più di 3.400 casi credibili di abusi, infatti, sono stati denunciati al Vaticano, di cui 401 nel solo 2013. Egli sa bene che altre misure disciplinari sono state prese nei confronti di 2.572 sacerdoti. Tra le sanzioni minori ai 2.572 sacerdoti c’è anche l’imposizione a vivere il resto della vita in penitenza e preghiera, misura spesso usata quando il prete accusato è anziano o infermo. Non sono pochi ma si tratta di sacerdoti che vengono “messi in un luogo in cui non hanno alcun contatto con bambini”. Il punto più importante in questo “processo” di interventi “drastici” nei confronti dei preti pedofili, iniziato da Benedetto XVI, e, concluso da papa Francesco, è che la Santa Sede, nel suo campo, e le Conferenze episcopali, sono sul fronte per combattere contro ogni abuso sessuale sui minori, per prevenire questo crimine, per aiutare le vittime e per punire anche chi è colpevole. Molte diocesi e, quindi, molti vescovi si sono dichiarati In piena sintonia con il Papa, come l’arcidiocesi di Chicago che ha pubblicato sul suo sito ufficiale i nomi di 36 preti che hanno abusato di 350 minori dal 1950 a oggi. Un’operazione trasparenza, benedetta da Francesco. Tale operazione, però, in Italia tarda ad arrivare. Ancora, in molti vescovi italiani manca la coerenza ”fra le parole di condanna” di un crimine e “i fatti” che prevedono, come richiesto dal papa la “tolleranza zero”. Basta, infatti leggere le linee guida della Cei sulla pedofilia. In esse permane la mancanza dell’obbligo giuridico per i vescovi di denunciare all’autorità giudiziaria civile casi di abuso sui minori. Una posizione che mi sembra agli antipodi rispetto a quella di Bergoglio. Leggiamo, infatti: "il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale, non ha l’obbligo giuridico, ma solo il dovere morale di denunciare all’autorità giudiziaria notizie riguardanti casi di abuso sessuale nei confronti di minore da parte dei sacerdoti. Insomma, per i vescovi non c’è nessun obbligo, ma solo il dovere "di contribuire al bene comune" attraverso la denuncia di notizie a proposito di abusi sessuali da parte dei sacerdoti nei confronti di minori.” Lo stesso documento sottolinea però che i vescovi devono dedicare un’attenzione particolare nel discernimento vocazionale di coloro che si presentano per il sacerdozio o per entrare nella vita consacrata”. Uguale “attenzione particolare” la CEI, però, non propone per la “selezione” e l’individuazione dei vescovi pedofili. In linea con questa “ posizione”, che, a mio parere non è quella del Papa, c’è l’appello dei vescovi italiani al termine dell’assemblea generale della Cei che si è tenuta ad Assisi. Nel comunicato finale i presuli scrivono che “se nella buona come nella cattiva sorte il presbiterio è la famiglia del sacerdote, si avverte l’importanza che anche quanti si sono resi colpevoli di delitti possano non sentirsi abbandonati a se stessi”. Cosa significhi “non sentirsi abbandonati a se stessi”?, non lo sappiamo, o meglio lo conosciamo leggendo ancora un altro passaggio delle linee guida sulla pedofilia, che indubbiamente desta grande sconcerto: “La presentazione della denuncia in ambito canonico non comporta né implica in alcun modo la privazione o la limitazione del diritto di sporgerla innanzi alla competente autorità giudiziaria civile. Qualora il denunciante dovesse decidere di sporgere denuncia in sede civile, la competente autorità ecclesiastica, nel rispetto della vigente normativa canonica e civile, provvederà a fornirgli tutto l’aiuto spirituale e psicologico necessario, con ogni premura verso le vittime”. Affermazioni che suonano come un magistero totalmente opposto a quello di Papa Francesco. Che la CEI ne abbia consapevolezza o no, a noi ritornano in mente le parole del papa, che ha recentemente affermato: “il bene di un bambino o di un adulto vulnerabile è prioritario nel momento in cui viene presa qualsiasi decisione” e, inoltre: ”vale il consiglio che Gesù dà a coloro che danno scandalo, la macina da molino e il mare”. Una missione che sembra del tutto estranea alla Cei.