Tra il 1995 e il 2013 il prelievo fiscale medio sulle famiglie italiane è aumentato del 40 per cento; i redditi nominali, invece, solo del 19 per cento. Grazie al bonus degli 80 euro, nel 2014 la situazione è destinata a migliorare.
Sulle famiglie italiane grava un carico fiscale medio annuo di oltre 15.300 euro. Tra il 1995 e il 2013 il peso delle tasse, delle imposte, dei tributi e dei contributi previdenziali è aumentato di oltre 4.400 euro (+40,4 per cento): si tratta di una crescita più che doppia rispetto a quella fatta registrare dal reddito nominale netto medio disponibile (+19,1 per cento).
Purtroppo, il trend dei redditi cambia completamente segno se depuriamo l’inflazione dal reddito disponibile: sempre nello stesso arco temporale, il reddito reale, ovvero il potere d’acquisto, è crollato del 19 per cento.
I dati forniti dall’Ufficio studi della CGIA fotografano un quadro di complessiva criticità per i quasi 26 milioni di famiglie italiane, aggravatosi ulteriormente con l’avvento della crisi.
Dal 2007 (ultimo anno pre-crisi) al 2013, nonostante il peso fiscale sia leggermente diminuito registrando nell’ultimo anno addirittura una contrazione di 325 euro a seguito anche dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa, il reddito disponibile netto ha subito una “sforbiciata” di quasi 3 mila euro.
“Nonostante l’Italia sia un Paese di tartassati – dichiara il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi – i servizi che le famiglie e le imprese ricevono dallo Stato spesso non sono all’altezza delle aspettative. Dalle infrastrutture alla sanità, dai trasporti all’istruzione, in molte Regioni la qualità e la quantità di questi servizi erogati è spesso inaccettabile. Con gli effetti della crisi che non accennano a diminuire e con una pressione fiscale che rimane su livelli record, i bilanci familiari rischiano di rimanere ancora in rosso, penalizzando anche quelli degli artigiani e dei piccoli commercianti che vivono quasi esclusivamente dei consumi del territorio in cui esercitano l’attività”.
Con troppe tasse e meno soldi a disposizione, tra il 2007 e il 2013 i consumi delle famiglie al netto dell’inflazione hanno subìto una caduta verticale: -13,4 per cento che, in termini assoluti, equivalgono ad una contrazione media della spesa per ciascuna famiglia italiana di quasi 5.500 euro.
Ovviamente, la riduzione del reddito disponibile è ascrivibile anche all’aumento della disoccupazione: tra il 2007 e i primi 9 mesi di quest’anno è più che raddoppiata: se sette anni fa era al 6,1 per cento, ora è al 12,6 per cento.
Almeno sul fronte fiscale, nel 2014 la situazione sembrerebbe destinata a migliorare, anche se non per tutti. I nuclei che non beneficiano del bonus Renzi, infatti, quasi certamente subiranno un aggravio fiscale. Tuttavia, in linea generale possiamo affermare che la detrazione Irpef di 80 euro per i lavoratori dipendenti con redditi medio bassi (che genererà un taglio di imposte pari a circa 6 miliardi di euro) dovrebbe più che compensare il maggior prelievo richiesto alle famiglie con l’introduzione della Tasi sull’abitazione principale che, secondo una nostra stima, dovrebbe portare nelle casse comunali almeno 3,5 miliardi di euro.
A elevare il peso delle tasse sulle famiglie ha contribuito in maniera determinante la tassazione locale. Tra la metà degli anni ’90 ad oggi, sono aumentate del 190 per cento, mentre quelle erariali hanno subìto un incremento medio del 43 per cento circa: seppur significativa, quest’ultima è stata una variazione percentuale comunque inferiore alla crescita del Pil nominale che è stata di quasi il 50 per cento.
“L’aumento delle tasse locali – conclude Bortolussi – è il risultato del forte decentramento fiscale iniziato negli anni ‘90. L’introduzione di alcune tasse locali – come l’Isi, l’Ici, le addizionali comunali/regionali Irpef, l’Imu e la Tasi – ha fatto impennare il gettito della tassazione locale che è servito a coprire le nuove funzioni e le nuove competenze che sono state trasferite alle Autonomie locali. Non dobbiamo dimenticare che in questi ultimi 18 anni le Regioni e gli enti locali hanno assunto la gestione di settori importanti come la sanità, il lavoro, il trasporto pubblico locale e la formazione professionale senza aver ricevuto un corrispondente aumento dei trasferimenti. Anzi, la situazione dei nostri conti pubblici ha costretto lo Stato centrale a ridurre progressivamente i trasferimenti, creando non pochi problemi di bilancio a molte realtà locali che, a loro volta, si sono difese facendo leva sulle nuove imposte locali introdotte dal legislatore. Insomma, né lo Stato né le Regioni e gli enti locali sono riusciti a frenare la spesa, continuando invece ad agire sulla leva fiscale, penalizzando soprattutto le famiglie e le piccole imprese”.