Buona Scuola, per gli italiani sono i docenti i migliori formatori dei docenti: largo al prof tutor

“Sono i docenti i migliori formatori degli altri docenti”: a chiederlo a gran voce sono gli oltre 200mila partecipanti alla consultazione nazionale sulle linee guida contenute nel documento “La Buona Scuola”. A rilevarlo è l’associazione sindacale Anief, dopo aver esaminato i risultati contenuti nel documento governativo pubblicato in questi giorni dal Ministero dell’Istruzione: nell’indicare le modalità per migliorare l’offerta formativa delle nostre 8.400 scuole, gli italiani hanno infatti indicato la “formazione esperienziale basata sulla pratica” coordinata da chi più conosce la professione.

Tra i punti prevalenti sulle nuove modalità di formazione dei docenti, sono state indicate le necessità di “premiare chi forma altri”, di assegnare “incentivi agli innovatori”, di “avere risorse certe”, gestire i corsi “a livello regionale, sfruttando reti di scuole”, oltre che di “proporre, a livello individuale, la detraibilità delle spese dirette”. Ma soprattutto, i partecipanti al sondaggio nazionale – 207.000 partecipanti on line, 1.300.000 accessi al sito, 200.000 partecipanti ai dibattiti sul territorio, 5.000 e-mail ricevute, 40 tappe del tour per presentare i contenuti del progetto – hanno spinto su un concetto: le modalità e i contenuti di gestione dei corsi formativi dei docenti più giovani, dovranno essere scelti e gestiti dai colleghi più esperti.

“Il nostro sindacato – spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – ha da tempo fornito pieno assenso alla costituzione di un nucleo, all’interno di ogni scuola, di insegnanti esperti cui affidare la formazione di chi conosce meno la professione: l’ideale sarebbe affidare questo delicato ruolo agli insegnanti con oltre 20-25 anni di anzianità professionale. Svincolandoli, su base volontaria, dalla didattica frontale per dedicarsi alla formazione dei giovani insegnanti”.

La soluzione, da tempo enunciata dall’Anief, sarebbe ottimale anche per rendere meno faticoso il percorso lavorativo dei docenti vicini alla pensione oggi costretti a rimanere in servizio anche 5-6 anni in più rispetto a poco tempo fa: un blocco, che colpisce in particolare le donne e quindi la scuola, dove oltre l’80% del personale è composto da donne, figlio del bug nella riforma Fornero, nella cui stesura è stato “dimenticato” di introdurre l’insegnamento tra le categorie ad alto logorio professionale e a rischio burnout. E l’incredibile vicenda paradossale dei ‘Quota’ 96 è solo la punta dell’iceberg. Nello stesso errore non sono caduti diversi Paesi dell’Europa, dove si può andare in pensione con l’assegno pieno, rispetto ai contributi versati, già a 55 anni.

“Non interessa che questi docenti vengano denominati esperti o senior – continua il presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – , ciò che è conta è che si dia loro la possibilità di dedicarsi alla formazione di chi ha vinto un concorso pubblico e necessita di essere formato. Perché l’insegnamento necessita non solo di teorie, ma anche di consigli e preziose indicazioni, che solamente chi ha svolto la professione dietro la cattedra per tanti anni può fornire. Il loro apporto potrebbe essere di tipo tradizionale, quindi frontale, ma anche concretizzato sotto forma di ‘tutores’, tradizionale o telematici, coordinati direttamente dal Miur oppure da enti formatori accreditati quale è lo stesso Anief che già organizza corsi formativi ad hoc”.

Il giovane sindacato chiede al Governo di seguire anche altre indicazioni provenienti dalla consultazione nazionale svolta tra il 15 settembre e il 15 novembre 2014: dal rendere obbligatoria la scuola dell’infanzia all’agevolare l’integrazione degli alunni stranieri (quasi il 10% del totale degli iscritti) e quelli con disabilità (quasi 300mila), fino ad adottare delle azioni a livello regionale per contrastare la dispersione scolastica ancora troppo elevata (17,6 per cento, con punte del 25 per cento, contro il 10% indicato dall’Unione europea).

Su merito e stipendi, infine, Anief ribadisce che il 60% dei partecipanti alla consultazione sulle linee guida di riforma della scuola ha chiesto di mantenere in vita gli scatti di anzianità, anche introducendo il cosiddetto merito. E non si comprendono i toni trionfalistici del Ministero dell’Istruzione, secondo cui “l’81% il merito deve contribuire alla crescita stipendiale dei docenti”.

“Chi ha espresso la sua opinione sulla ‘Buona Scuola’ – ha detto ancora Pacifico – sa bene che il merito dei docenti è una modalità percorribile, ma non a discapito degli aumenti in busta paga legati al costo della vita. Del resto, i numeri parlano da soli: abbiamo calcolato che per la sola mancata assegnazione delle indennità di vacanza contrattuale, tra il 2006 e il 2018, alla luce della proroga di ‘sospensione’ prevista per i prossimi tre anni, lo Stato è diventato debitore di 9mila euro, derivanti dalla mancata assegnazione agli insegnanti di 53 euro in media al mese. Mantenere gli scatti di anzianità servirebbe anche a calmierare il mancato rinnovo contrattuale. Chi parla di addio agli aumenti stipendiali automatici – conclude il sindacalista – è consapevole di tutto questo?”.