Un ricordo del cardinale Francesco Montenegro

Premessa
Dopo la nomina di mons. Francesco Montenegro fra i componenti del collegio cardinalizio, il direttore di IMG Press mi ha chiesto di scrivere qualcosa sul neo-cardinale. Gli ho subito detto che su di lui mi ero espresso in una “lettera mensile” mentre ero parroco a San Luca. Sono riuscito a recuperare il pezzo tramite l’alta professionalità dell’ing. Giuseppe Spadaro, webmaster di quel tempo, che ringrazio infinitamente. Il pezzo viene riportato nella sua interezza, senza aggiunte o modifiche. La data di pubblicazione risale al 29 febbraio 2008. Fra i tanti preti che allora mi ringraziarono, ricordo mons. Bartolomeo Sabino, fino a qualche anno addietro parroco a S. Nicolò di Gazzi, profondo conoscitore di Sua Eminenza il cardinale Francesco Montenegro.

di Ettore Sentimentale

Carissimi,
questa lettera vede la luce dopo l’annuncio dell’elezione di mons. Montenegro come Arcivescovo Metropolita di Agrigento. Rendiamo grazie a Dio! Da parecchi giorni mi frullano in testa le parole della Scrittura: “non pensate ai fatti passati…fra poco farò qualcosa di nuovo, anzi ho già cominciato…costruisco una strada nel deserto…”(cfr. Is43,18s). È una metafora del ritorno dell’antico popolo di Dio dalla deportazione babilonese alla città santa di Gerusalemme.
Un simbolo della rinascita, della vita nuova. In realtà, ad Agrigento si celebra da molti anni la “sagra del mandorlo in fiore”, una festa che anticipa la dirompente novità della primavera. Questo fatto naturale rimanda e una dimensione spirituale. Come la terra attende in silenzio, sferzata dal vento gelido dell’inverno l’arrivo della nuova stagione, così i “servi inutili” e disinteressati per il Regno di Dio sperano che l’esilio vissuto nella perfetta letizia si concluda nella contemplazione dei bellissimi fiori di mandorlo.
Il novello Arcivescovo di Agrigento vive questa dimensione, altri si preparano a farlo. Fuori metafora e senza creare allarmismi penso che sia bene fermarsi a riflettere un attimo sull’inverno che ottenebra le nostre menti e paralizza i nostri cuori per cogliere insieme i fermenti della novità di vita, seminati con larghezza e abbondanza, in questi anni di servizio a Messina, da mons. Montenegro.
Forse pochi sanno che durante un Convegno regionale della Caritas, mentre il nostro don Franco ne era direttore, un vescovo lo richiamò perché aveva osato dire – con prudenza e franchezza – che i porporati siculi prima scrivono circa l’impegno delle chiese per i poveri, ma poi inspiegabilmente e puntualmente dimenticano.
Chi non ricorda la denuncia del “panem et circenses” (“pane e giochi del circo”) rivolta agli amministratori locali che pensavano solo a come far stare buoni i “clienti”, perché serbatoio di preferenze elettorali? Non so con precisione se le cose siano cambiate, ma ho la sensazione (e vorrei che fosse un fatto strettamente personale) che si vada di male in peggio.
E gli interventi martellanti presso i confratelli parroci perché scuotessero i cristiani che guazzavano nello spirito borghese?
E le denunce contro il malaffare clientelare cui spesso anche i cristiani hanno prestato il fianco?
E – sorvolando su mille altri fatti- la “signorilità” con la quale ha adempiuto infine l’incarico di vicario generale? Non ci vuole molto acume intellettuale per capire con quale tatto ha fatto da “filtro antiparticolato” fra il clero e gli eccellentissimi arcivescovi per consentire ad entrambi di circolare sempre, tenendo accesa la fiaccola della comunione ontologica fra il vescovo e il presbiterio. Si può applicare a questo nostro vicario generale emerito, l’appellativo di “parafulmini” che Thomas Merton utilizza per descrivere il ruolo dei monaci.
Adesso per lui si apre una vita nuova, una rinascita (secondo Gv 3), seppur a 62 anni.
Cosa augurargli, oltre le formalità usurate?
Per esprimere sentimenti di riconoscenza e di scuse (talvolta il mio impeto di fraternità ha assunto nei suoi confronti colori troppo accesi, ma non ipocriti), prendo a prestito la sapienza di S. Benedetto che esorta l’abate (il padre) ad usare verso i fratelli monaci “la fermezza e la dolcezza”.
E il vescovo è chiamato ad essere “padre e pastore”. Mi pare che a questo stile di vita si ispiri anche Ernesto Rafael Guevara De la Serna quando invita i suoi ragazzi a lottare “decisi ma senza perdere la tenerezza, mai”. Una strategia di servizio si impone: oggi c’è urgente bisogno di aiutare l’uomo a dar sapore e colore alla propria vita. ¡Hasta la muerte!
Che Dio benedica il “nostro” vescovo Franco e la sua dolcissima mamma, la signora Matilde.