di ANDREA FILLORAMO
Era il 14 febbraio 1785 quando è stata data la porpora cardinalizia ad un patrizio messinese. Si trattava di mons. Giovanni de Gregorio, figlio di Leopoldo,”Segretario di Stato e Tenente Generale degli Eserciti di Sua Maestà Cattolica di Spagna, Marchese di Squillace, Ambasciatore Straordinario presso la Repubblica di Venezia (et alia…)”. Da allora sono passati 230 anni e si è giunti al 4 gennaio 2015, quando Papa Francesco annuncia la designazione a cardinale di un umile “uomo del popolo”, anch’egli messinese, Franco Montenegro, arcivescovo metropolita di Agrigento. 1785- 2015, un periodo lungo, anzi lunghissimo dentro cui scorrono gli avvenimenti di più di due secoli. Scorre anche la storia della Chiesa, fatta di santi e diavoli, di errori e contraddizioni, peccati e assoluzioni, con la non sempre piena consapevolezza da parte di tutti gli stessi cattolici, che è lo Spirito Santo a “reggere” le sue sorti. Da allora ben 19 papi si sono succeduti su trono di Pietro, a partire da Clemente XIII (1758-1769 ) all’attuale pontefice, papa Francesco. Sarebbe lungo avventurarsi nella delineazione di tutti questi aspetti e non è questa la sede. Qui si vuole solo evidenziare, come la “storia ideale eterna” di vichiana memoria, fatta da un’immanente “provvidenza” fa e disfà ogni cosa, secondo l”’ordine del tempo” e dirige” verso obiettivi che non sono sempre prevedibili. Guardo adesso con molta attenzione e simpatia all’amico vescovo di Agrigento, chiamato da questa provvidenza, a diventare Cardinale di Santa Romana Chiesa ed elettore del prossimo pontefice, che necessariamente dovrà continuare la “rivoluzione” operata dall’attuale papa. Sono certo che “don Franco”, uomo molto somigliante nella vita, nel modo di essere e negli atteggiamenti a papa Francesco, è veramente il vescovo dei poveri e, pertanto, è pienamente consapevole che come dice il papa: “di fronte alla miseria la Chiesa offre il suo servizio, la sua diakonia, per andare incontro ai bisogni e guarire queste piaghe che deturpano il volto dell’umanità. Nei poveri e negli ultimi noi vediamo il volto di Cristo; amando e aiutando i poveri amiamo e serviamo Cristo". Franco Montenegro, diventando cardinale, sarà chiamato a collaborare con il papa per realizzare la “Chiesa dei poveri”. Egli sa che la realizzazione di questo progetto è di difficile attuazione, data la resistenza, più volte da lui stesso sperimentata, che è particolarmente forte nella Chiesa. Tale resistenza perdura dai tempi del Concilio Vaticano II. Ricordo che l’11 aprile 1963, Papa Giovanni XXIII ha regalato al mondo l’enciclica "Pacem in Terris". Una pace fondata sulla verità, la giustizia, l’amore e la libertà, argomenti tutti dibattuti tra i vescovi del gruppo, formatosi durante il Concilio, chiamato appunto: “chiesa dei poveri”. I padri conciliari appartenenti al gruppo si riunirono nel Collegio Belga nel mese di ottobre 1963, quando iniziò la seconda sessione del Concilio. Non c’era più papa Giovanni a vegliare… ma il nuovo Papa Paolo VI (Montini) manifestava una continuità di ideali. Tuttavia in uno scenario di relativo "entusiasmo" si andavano delineando anche certe “nuvole” che posteriormente si trasformarono in “ombre”. Mentre da un lato cresceva il supporto di alcuni vescovi e certa fascia di opinione pubblica, dall’altra, a sua volta, si presentavano interroganti a dir poco "capziosi", che chiedevano “Che cosa significa esattamente ‘chiesa dei poveri’”? Purtroppo ancor oggi e siamo nel 2015, molti vescovi e preti non sanno o non vogliono rispondere a questa domanda anch’essa “capziosa”, la cui risposta segna il destino della Chiesa.