
di ANDREA FILLORAMO
Credo che con il provvidenziale avvento al soglio pontificio di papa Francesco e con l’affermazione della “trasparenza” che sta investendo anche i palazzi pontifici, occorre che alcuni scrittori cattolici mettano da parte quell’atteggiamento, che pretende di dimostrare il possesso di credenze, che magari non tutti possiedono, con il quale, non sempre consciamente, ma sempre ipocritamente, ingannano prima se stessi e poi le altre persone. Con tale comportamento talvolta essi “trascurano“ di esaminare avvenimenti e fatti, “strappano” pagine intere di storia o le coprono con il manto “agiografico”, con il quale “ sacralizzano” determinati personaggi, al fine di proteggerli dal “vaglio” storico, che non deve risparmiare nessuno. Non si pensi che si vuol fare un attentato alla “santità”, riconosciuta con la canonizzazione dalla Chiesa, portata al culmine da Giovanni Paolo II, che nel suo pontificato nell’elenco dei santi scrisse oltre 450 santi e quasi 1300 beati, numero senza precedenti nella storia del cristianesimo e che rappresenta oltre la metà di tutti i santi e i beati proclamati dalla fine del Cinquecento. Nello stesso elenco, al grido del “Santo subito” del giorno del suo funerale, sarà inserito lo stesso Pontefice. A tal proposito Hans Kung scrive: “ il Santo subito" è stata un’esortazione pilotata. Me li ricordo gli striscioni "spontanei" di Piazza San Pietro: tutti di stampa meticolosa, raffinata. È stata una palese messa in scena da parte di gruppi cattolici, conservatori e reazionari, che sono molti forti soprattutto in Spagna, Italia e Polonia.” La trasparenza non è neppure di un’espressione della “mania” modernistica o antidogmatica che può “assalire” credenti e non credenti, che aggredisce, distrugge e non costruisce proprio nulla e, quindi, conduce al “nichilismo”, di cui il papa Giovanni Paolo II dice: “Il nichilismo, prima ancora di essere in contrasto con le esigenze e i contenuti propri della parola di Dio, è negazione dell’umanità dell’uomo e della sua stessa identità. Non si può dimenticare, infatti, che l’oblio dell’essere comporta inevitabilmente la perdita di contatto con la verità oggettiva e, conseguentemente, col fondamento su cui poggia la dignità dell’uomo”. Ritengo, però, che la trasparenza sia un’esigenza evangelica, che non prevede alcuna “sospensione di giudizio” dinnanzi a fatti osservabili o ricostruibili attraverso criteri che dovrebbero appartenere anche alla Chiesa, seppure di provenienza laica. Gesù diceva: “il vostro parlare sia sì, sì, no no”. Questa lunga premessa ci permette di trattare con “spirito sereno”, particolarmente i fatti più recenti della Chiesa. Mi riferisco ai pontificati di Giovanni Paolo secondo e Benedetto XVI, che, messi assieme, coprono un periodo molto lungo, che, per intenderci, chiamiamo del “post concilio”, dato che vogliamo operare metodologicamente la scelta del Concilio Vaticano II che consideriamo “discrimen” fra passato e presente. Questa “scelta” non era presente in un recente mio articolo pubblicato su IMG PRESS che riguardava gli stessi pontefici; pertanto mi si concederà il beneficio di qualche ripetizione concettuale, posta, però, in un contesto diverso. A questi due pontificati si innesta quello di papa Francesco, chiamato a “continuare” o a “raddrizzare” il magistero dei due papi precedenti. I papi che precedono Bergoglio, molto spesso “guardano” al Concilio ma non fanno nulla per superare il “nodo del contrasto”, che secondo Giovanni Franzoni “grava sulla Chiesa cattolica da decenni”. Franzoni, infatti, scriveva: “per Wojtyla e Ratzinger il Vaticano II va visto alla luce del concilio di Trento e del Vaticano I; per noi, invece, quei due Concili vanno letti, e relativizzati, alla luce del Vaticano II. Dunque, data questa divergente angolazione, i contrasti sono ineliminabili. E a cascata, ogni giorno, noi vediamo giungere dalla cattedra romana norme, decisioni, interpretazioni che, secondo noi, confliggono radicalmente con il Vaticano II”. Questo conflitto, o questa “ aporia”, che ha connotato i pontificati precedenti, sul quale varrebbe la pena fare un serio approfondimento, a parer mio, è ben presente fino ai giorni nostri. Esso è diventato una sfida per papa Bergoglio, che, provenendo dalla “ fine del mondo”, possiede le armi, non solo per combatterlo ma anche per superarlo. In parole povere si tratta dell’“infallibilità pontificia”, che viene dal passato e che una nuova “ermeneutica” dovrebbe restituire “rivisitata” al presente e quindi alla modernità. L’ineliminabile “nodo” ha condizionato il rinnovamento della Chiesa. E’ certo che Il pontificato di Karol Wojtyla è stato quello di un grande Papa mediatico, un uomo dirompente, carismatico, un uomo vero che si tuffava in mezzo all’umanità e vi restava, dalla forte corporeità espressa “dall’immagine del papa giovane e bello, sportivo e scalatore; a quella del vecchio che mostra il suo corpo infermo, tremolante e incerto; fino alla spettacolarizzazione della sua morte e del suo funerale”. Da ciò “scaturiva”, sostiene Maria Mantello dell’’Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" “un culto popolare della persona del santo Vicario di Cristo, che forse faceva addirittura passare in secondo ordine lo stesso Cristo eretto sul bastone pastorale a cui il papa si appoggiava”. Egli credeva ad una Chiesa più tridentina che conciliare e pertanto l’ha governata da monarca assoluto, sempre attento ad emarginare ogni dissenso, tanto da far dire a Boff, teologo della liberazione, che Giovanni Paolo II era stato “un flagello per la fede” perché “aveva tradito la causa dei poveri”, che “non si sentivano affatto appoggiati nella loro lotta contro la povertà”. “Wojtyla ha preferito che i preti compagneros dell’America Latina fossero sostituiti con cardinali e vescovi a lui fedeli, magari sbocciati dalle fila dell’Opus Dei. E per controllare e vigilare meglio sulla realizzazione dell’universalismo cattolico non ha disdegnato l’abbraccio con sanguinari dittatori. Indelebile l’apparizione nel 1987, alle finestre del palazzo della Moneda, sereno e cordiale, accanto al criminale Pinochet”. Basterebbe solo questo per gettare forti “ ombre” sul papa polacco, rendendo ininfluenti le cose positive e sono molte, che hanno anche caratterizzato il suo pontificato. Don Paolo Farinella, biblista, scrittore saggista, non tenendo conto dei meriti del papa polacco, scrive, forse esagerando: “come papa fu il peggior papa del secolo scorso perché polacchizzò la Chiesa, consegnandola nelle mani delle sètte religiose che hanno frantumato il volto unito della sposa di Cristo. L’Opus Dei controlla le finanze del Vaticano e la cultura teologica”messa come cane da guardia per fare morire la Teologia della Liberazione. Comunione e Liberazione a livello nazionale e non solo è la longa manus del Vaticano in Italia, via privilegiata per accedere alle stanze del governo e delle leggi, e poco importa se la Compagnia delle Opere si esercita a fare affari con mafiosi e delinquenti. E’ certo che, nel governo della Chiesa, Giovanni Paolo II, ha preso posizioni e decisioni restauratrici rispetto a quanto il Concilio Vaticano II aveva solennemente sancito”. Dagli atti del Concilio sappiamo che Papa Wojtyla, allora vescovo di Cracovia, aveva votato insieme ai più conservatori, a chi non voleva la riforma della Chiesa. Non ha neppure tenuto conto del programma di riforma del governo della Chiesa consegnato da Dossetti, fondatore dell’”officina bolognese”nell’agosto 1978 ai cardinali che presero parte ai due conclavi di quell’anno. Dossetti – in gioventù politico di prima grandezza, poi fattosi monaco e prete, morto nel 1996 – è l’uomo che più ha ispirato la cultura cattolica del secondo Novecento in Italia. Ma non solo. Dossetti ha dato una fortissima impronta allo svolgimento del concilio Vaticano II, a livello di Chiesa mondiale. E in seguito, con i suoi discepoli dell’”officina”, ha generato un’interpretazione specialissima dello stesso concilio, che ha avuto universale fortuna. Fra le altre cose, in tal programma o promemoria consegnato ai Cardinali elettori, proponeva il superamento della monarchia papale e scriveva: “ Il convincimento di dovere decidere da solo, di non potere rinunciare ai simboli monarchici del potere e dell’autorità, la rassegnazione a nascondere la virtù personale sotto i paludamenti pontificali (residenza, abiti, titoli, segreto, ecc.) costituiscono solo gli aspetti più vistosi di tale vischiosità. Sarebbe perciò altamente desiderabile che il futuro vescovo di Roma fosse confortato e incoraggiato a mostrarsi per quello che realmente è, e non sotto le spoglie di suoi antecessori forse lontanissimi. Per questa generazione la prova della perennità del papato consisterà soprattutto nell’assistere alla sua capacità di rinnovamento e di veracità, e non nella sua immutabilità, come è stato in altri tempi. Nella misura in cui tutto ciò è vero, occorrerà prestare grande attenzione alla prassi ordinaria del servizio papale, affinché la sua routine non contraddica lo sforzo di rinnovamento ma anzi lo esprima con coerente docilità. Ciò potrà essere agevolato se il nuovo papa vorrà compiere tempestivamente, secondo il suo genuino carisma personale, alcuni segni emblematici realmente capaci di realizzare ciò che significano, e non altisonanti enunciazioni ideologiche. Altrettanto importante sarebbe la convinzione che nel papa le virtù pubbliche sono almeno altrettanto indispensabili di quelle private. Il che significa che la salvezza del papa si gioca non solo sulla sua fedeltà interiore all’Evangelo ma ancor più sulla sua capacità di essere papa secondo modalità evangeliche, di modo che nel papa e al di là del papa ogni uomo possa e debba riconoscere l’unico Signore della Chiesa e della storia che salva nell’amore.” Nel suo esordio, il promemoria liquida la Chiesa del dopo Paolo VI come “sempre più inadeguata alle esigenze della vita degli uomini”. Ma il giudizio dei suoi autori sulla Chiesa del dopo Giovanni Paolo II non è dissimile. Non c’è un solo punto programmatico del promemoria che papa Karol Wojtyla abbia realizzato. Il pontificato di Benedetto XVI fu breve, ma, in quanto collaboratore e forse ispiratore per molti versi, di Giovanni Paolo II, “ radicalizzò” la “posizione” di Giovanni Paolo II. Affascinato dal passato della Chiesa, restaurò persino la “ moda pontificia”, che tutti hanno ritenuto “ obsoleta”. Sono mancati solo la tiara abbandonata da Paolo VI e la sedia gestatoria. Sintomatico dell’abbandono dello spirito conciliare di questo papa è stato l’” avvicinamento” con il movimento “ scismatico” di Marcel Lefebvre. La sua decisione di riabilitare e riaccogliere i vescovi tradizionalisti ordinati nel1988 da Marcel Lefebvre e perciò scomunicati, ha creato irritazioni non solo nel mondo cattolico. Un corrispettivo decreto della Congregazione romana dei vescovi, sottoscritto dal cardinale Giovanni Battista Re, ha spiegato la decisione del papa con il fatto che egli ha voluto reagire con misericordia a una “situazione di necessità spirituale” delle persone in questione. Questi vescovi erano state ordinati nel 1988, nonostante il divieto del papa, dal vescovo ribelle Marcel Lefebvre e, come lui perciò, incorsi automaticamente nella scomunica. Si trattava di Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità sacerdotale S. Pio X, Bernard Tissier de Mallerais, Alfonso de Gallareta e Richard Williamson. Il decreto diceva testualmente: “Papa Benedetto XVI, mosso da sentimenti paterni di fronte alla situazione di necessità spirituale dichiarata dagli interessati, a motivo della scomunica, e confidando nel loro… impegno esplicito a non risparmiare fatica nell’approfondire i dialoghi con la Santa Sede per arrivare così ad una completa e soddisfacente soluzione del problema insorto, ha deciso… di riconsiderare la situazione canonica dei vescovi, che si è creata con la loro ordinazione episcopale”. Lo scopo della riabilitazione sarebbe stato di “rafforzare le relazioni di reciproca fiducia” e di “consolidare «i contatti tra la Fraternità S. Pio X e la Santa Sede”. Si voleva così promuovere l’unità della chiesa universale e superare lo scandalo della divisione. Nessuno dei vescovi lefevbriani ha riconosciuto il Concilio Vaticano II, che doveva essere la conditio sine qua non della riaammissione nella Chiesa cattolica. Lasciamo al lettore la conclusione di questo ragionamento, che si arricchisce anche del “ripristino” della Messa in latino, permesso da Benedetto XVI. Tutto ciò ed altro ci fa comprendere le difficoltà che papa Francesco deve affrontare per far diventare la Chiesa quella voluta dal Concilio Vaticano II e che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI non hanno voluto o, se vogliamo essere benevoli nei loro riguardi, non hanno potuto “costruire”.