di ANDREA FILLORAMO
Comincia a essere evidente, anche in Italia, data la crisi economica che stenta a finire, che, nell’affidamento dei “compiti” e dei “servizi”, pur in un percorso che si prospetta lungo, articolato ed irto di molte difficoltà, si va verso un sistema sociale, che dovrebbe garantire l’affermazione di criteri trasparenti, fondati sulla “meritocrazia”. Ciò dovrebbe condurre al superamento delle “raccomandazioni” e delle “segnalazioni”, cioè di tutte quelle azioni e di quelle condizioni che favoriscono un soggetto, nell’ambito di una procedura di valutazione o di selezione dei più meritevoli e capaci. Una raccomandazione, per essere tale, deve necessariamente coinvolgere un “raccomandante” o “sponsor”, il quale esercita un’influenza sulla procedura di valutazione, indipendentemente dalle qualità del soggetto raccomandato. Sono molti, in Italia, che ancora “ usano” la raccomandazione e, quindi, molti ancora non sono immuni da questo “virus”, che determina una vera e propria “piaga sociale”, che danneggia alle fondamenta il sistema sociale che incentiva l’inefficienza e contribuisce a diffondere una diffusa atmosfera di sfiducia. Se, nella società civile, il superamento di questa “prassi”, cioè di questo sistema avviene, sta avvenendo o dovrà avvenire, ci chiediamo se esso è anche presente nella Chiesa quando individua e nomina i vescovi. La risposta è immediata: nella Chiesa cattolica, apostolica, romana, le “funzioni” e, particolarmente quella dei vescovi, vengono assegnate attraverso un sistema basato esclusivamente sulle “raccomandazioni”, sulle “segnalazioni” e sui “protettori”. Ciò in mancanza di criteri che garantiscono la giustizia distributiva, che, a parere della Chiesa stessa, sono inapplicabili nell’individuazione di chi “è destinato”, a raggiungere gli alti gradi della “gerarchia” ecclesiastica. Il metodo, che certamente papa Francesco cercherà di superare, con il quale è eletto un vescovo, è quanto mai balordo, commendatizio e prevede un’interessata segnalazione di personaggi nascosti dal cosiddetto pontificio segreto di Pulcinella Essi sono: l’ordinario diocesano locale, il nunzio apostolico, la Cei, la Conferenza episcopale regionale, la Congregazione dei Vescovi. Fino a recentemente, cioè fino alla fine del pontificato di Benedetto XVI, determinante era la “ segnalazione” al Papa, fatta dal Segretario di Stato Vaticano. Egli fino alla fine del suo mandato, ha fatto nominare o promuovere, e, quindi, ha fatto da “sponsor” a molti appartenenti alla “Congregazione Religiosa” di sua appartenenza. Nella designazione e nella nomina dei vescovi, il Signor Cardinale non si è posto il problema che alcuni di loro, non avessero alcuna esperienza pastorale, come richiesta oggi dal papa Francesco, o che la loro “forma mentis” non fosse confacente con il modo di essere e di agire dei preti secolari, che, nel loro vescovo vogliono vedere un “amico”, un “ fratello” e, innanzitutto, un “pastore”, dotato di valori umani, cioè di quel complesso di qualità altamente positive in ambito spirituale, intellettuale, che rendono una persona degna di considerazione e di stima. Ma ciò per il “promotore” dei vescovi- amici non contava e non conta neppure per gli stessi vescovi “ paracadutati” in diocesi piccole e grandi della Chiesa Cattolica. Da qualche tempo, il cardinale in questione ha finito il suo mandato. Da allora l’onda lunga dei suoi raccomandati all’episcopato si è fermata. Si è fermata, altresì, almeno apparentemente,la loro aspirazione “carrieristica” specialmente dopo l’inaspettata designazione a cardinale da parte di Papa Francesco, di un vescovo di periferia, Franco Montenegro,che meriterebbe di essere, “celebrata” anche e soprattutto nella sua diocesi di origine. Essi, oggi, prendono atto e sono destinati ad accontentarsi di quanto l’apostolo Paolo scrive: ”qui episcopatum desiderat, bonum opus desiderat” che tradotto significa: “chi desidera l’episcopato desidera una cosa buona”. Sono costretti a prendere atto, altresì, che il “passaggio” da una diocesi a un altra da parte di un vescovo, per far carriera, è proibito non solo dall’attuale papa, ma fin dall’antichità dalla stessa Chiesa. Il Concilio di Serdica (343/344), infatti, così recitava: “Si deve sradicare qualcosa che non è soltanto una cattiva abitudine, ma soprattutto una corruttela perniciosa, così che non sia permesso a nessun vescovo di passare da una città piccola a un’altra diversa. Poiché risulta evidente quale sia la motivazione per cui molti tentano questo, dato che non si è mai saputo di un vescovo che abbia cercato di trasferirsi da una città grande a un’altra più piccola. Se ne deduce che vi siano indotti dall’avidità e dominati dall’ambizione, nella convinzione di raggiungere un potere maggiore”. E’ cosa certa che lo Spirito Santo non s’incarica di sostituirsi a nessuno e neppure al vescovo in tutte le sue deficienze. Un vanesio, che ama ostentare con sciocco compiacimento i meriti che presume di avere, un arrivista, un ambizioso, uno smanioso di affermarsi con o senza la “raccomandazione”, vescovo, prete o laico che sia, non sarà mai costretto a cambiare suo malgrado.