di Ilaria Luxi
La carcerazione preventiva o custodia cautelare, entra a far parte prepotentemente del lessico quotidiano del popolo italiano, nel febbraio del 1992, quando l’arresto di Mario Chiesa, esponente del partito socialista, diede ufficialmente inizio a Tangentopoli. Secondo gli ultimi dati, in quel biennio vengono arrestate 4525 persone, 1069 sono gli uomini politici coinvolti, 25.400 gli avvisi di garanzia emessi, 10 i suicidi eccellenti. Sono trascorsi 23 anni e successe molte cose. La guerra intrapresa da pool di magistrati contro la corruzione, colpì , distrusse e annientò sistemi incancreniti dal malcostume e dalla disonestà, trascinando via come una valanga l’assetto di intere forze politiche, segnando l’inesorabile declino del partito socialista italiano e la crisi della regina del nostro parlamento, sua maestà la Democrazia Cristiana. I detrattori del pool mani pulite, hanno sempre sostenuto che la carcerazione preventiva venisse utilizzata verso cittadini incensurati che mal sopportavano l’esperienza del carcere, per renderli più collaborativi e far si che confessassero. Vale la pena soffermarsi su quanto afferma il nostro ordinamento circa la suddetta norma. Il legislatore ammette tre casi in cui possono essere disposte misure restrittive della libertà personale, diritto inalienabile sancito dalla nostra Costituzione. Per semplificare, in caso di inquinamento delle prove, pericolo di fuga e pericolo di reiterazione del reato. Tutto ciò non significa altresì implicitamente la prigione, il giudice può scegliere fra modalità alternative alla custodia cautelare che sono, gli arresti domiciliari, la custodia cautelare in un luogo di cura e solo in ultima ipotesi, la carcerazione preventiva. Ma questo istituto giuridico controverso, dibattuto, abusato, è troppo spesso zona di frontiera tra un paese civile in cui un cittadino viene trattato come la nostra Costituzione indica e uno in cui si perpetrano impunemente ostilità nei confronti degli imputati, calpestando il principio dì presunzione di innocenza,in cui l’imputato è considerato non colpevole fino a sentenza definitiva di condanna. Ciò premesso, c’è qualcosa diparadossale che lascia sgomenti e attoniti, nella vicenda giudiziaria e personale che investe Francantonio Genovese. Indagato, tratto in arresto, scarcerato, relegato ai domiciliari e ricondotto nuovamente in carcere, dopo che solo tre giorni prima, il giudice aveva affievolito la pena restrittiva permettendogli di avere scambi con persone diverse dai familiari. Questa vicenda è evidentemente un’anomalia del nostro sistema giudiziario, il fatto che sia intrisa poi da un‘atmosfera che ricorda la Tangentopoli più buia, quella del sospetto, dell’invidia, dell’odio sociale dell’esposizione al pubblico ludibrio, preventivamente, cioè prima di un giudizio effettivo, la rende oltremodo preoccupante, anche in virtù del fatto, occorre ribadirlo, che ancora non e stato celebrato alcun processo, se non mediatico, e cosa ancora più paradossale che un accertato colpevole e un presunto innocente condividano lo stesso luogo detentivo. In questo senso è inaccettabile riservare un trattamento da persona ”normale“ a Francantonio Genovese, nè lui, nè altri devono in un paese democratico, essere trattati alla stregua dei criminali. Per avere un idea precisa di che aria si respira nel nostro paese, basta ricordare l’ignobile gesto delle manette esibito da un parlamentare (a Montecitorio non in un bar di periferia) dopo l’autorizzazione all’arresto concessa dal parlamento. Vi è qualcosa in questo nostro sistema giudiziario che va necessariamente rivisto, non solo per Francantonio, ma per tutti i cittadini.