In Italia gli "abbandoni" scolastici rimangono tra i più altri del vecchio Continente: secondo il "Rapporto Italia 2015" dell’Eurispes, presentato oggi, i numeri di alunni che lasciano la scuola prima dei 16 anni non sono "consoni a uno Stato avanzato". La media nazionale del fenomeno rimane sopra il livello di guardia: il 17%, contro la media europea che si attesta a quota 11,9%. Solo in Spagna, Portogallo, Malta e Romania la quantità di giovani che lascia prematuramente i banchi di scuola è maggiore della nostra. Per loro, come per l’Italia, l’obiettivo indicato da Bruxelles, il raggiungimento del 10% massimo entro il 2020, rimane quindi impossibile da centrare, almeno nel breve periodo.
Per comprendere la gravità di questa situazione stagnante, occorre ricordare che tra i Paesi che hanno meno alunni “dispersi” figurano la Croazia (3,7%), la Slovenia (3,9%) e la Repubblica Ceca (5,4%): tutte realtà, sulla “carta” meno floride dell’Italia, dove evidentemente il sistema scolastico e organizzativo è organizzato in modo tale da motivare adeguatamente il corpo studentesco.
“A far precipitare la situazione italiana – ricorda Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – è stata la politica al risparmio adottata per la scuola negli ultimi sei anni. Ad iniziare dalla riduzione di un sesto del tempo scuola: cancellando centinaia di ore di offerta formativa l’anno abbiamo fatto precipitare la nostra quantità formativa tra le più basse dell’area Ocse”.
Con la Legge 133/08, più di un sesto dell’orario scolastico, oggi l’Italia detiene il triste primato negativo di 4.455 ore studio complessive nell’istruzione primaria, rispetto alla media di 4.717 dell’area Ocse: non solo, alle ex elementari è subentrato anche il maestro “prevalente” che svolge 22 ore, con il resto dell’orario assegnato anche ad altri 4-5 colleghi. Come quello d’inglese, che però non è più specializzato. Il modello formativo ha quindi perso in qualità, precipitata, ma anche in identità. E non molto diversamente è andata per la scuola superiore di primo grado, dove oggi i nostri ragazzi passano sui banchi 2.970 ore l’anno, contro le 3.034 dei Paesi Ocse.
“Parallelamente, abbiamo assistito alla sparizione di 3.600 scuole e 200mila posti tra docenti e Ata, oltre che ingenti risorse sottratti agli istituti e al personale, il cui contratto è bloccato da cinque anni e rischia seriamente di rimane tale per quasi altrettanti. A fronte di questi tagli – continua Pacifico – non dobbiamo meravigliarci se poi perdiamo per strada il 17% degli alunni. E nemmeno se alle superiori spariscono 2 milioni e 900mila giovani, come è accaduto negli ultimi tre lustri. L’aspetto più grave è che questi ragazzi sono quasi sempre destinati ad allargare il numero dei Neet, l’esercito sempre più ampio di giovani che non studia e non lavora. E che troppo spesso va ad allargare le fila della criminalità organizzata”.
“Riattivare il numero di ore del 1998 sarebbe il vero toccasana – dice ancora il sindacalista Anief-Confedir – perché permetterebbe nello stesso tempo di ripristinare gli organici che avevamo fino a sei anni fa. Comportando, in tal modo, la creazione delle cattedre utili ad assumere non solo i 150mila docenti precari previsti dalla Buona Scuola attraverso sempre i fondi stanziati con i commi 3 e 4 della Legge di Stabilità 2015, ma anche le tante decine di migliaia di precari abilitati, oggi fuori delle GaE, che lo Stato continua ad utilizzare per le supplenze salvo poi considerarli ‘invisibili’ quando si tratta di assumerli”.
Anief torna ad appellarsi alle istituzioni, quindi, perché intraprendano una volta per tutte una seria politica di rilancio della scuola e di contrasto agli abbandoni. La prima modifica da attuare è portare l’obbligo formativo a 18 anni, come tentò nel 1999 il Ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer. Parallelamente, servono fondi ulteriori, nazionali e europei, finalizzati a migliorare l’orientamento scolastico dei nostri alunni alle prese con la scelta del corso superiore. Come occorre mettersi in testa di allargare le quote di organico, soprattutto di docenti, in quelle aree del Paese dove la percentuale di alunni dispersi è maggiore, ad iniziare dalle Isole maggiori dove alle superiori vi sono province, su tutte Caltanissetta e Palermo, con punte di abbandoni che superano il 40%.
Ha fatto bene e deve insistere il Governo, invece, a fornire nuovi finanziamenti alle attività di alternanza scuola lavoro: un settore che negli ultimi anni, sconfessando i tanti annunci di rilancio, si è progressivamente sempre più “sgonfiato”, con i fondi per gli stage aziendali ormai ridotti del 97% rispetto a quelli inviati dal Miur-Mef appena 15 anni fa. Dai 345 milioni di euro l’anni stanziati nel 1999 per gli stage aziendali, si è passati agli 11 milioni di euro dell’anno scolastico in corso. Procedendo nel verso opposto di altri Paesi, come la Germania, dove anche in tempo di recessione si è continuato ad investire per le attività di formazione in azienda.
“Se si vuole pensare di ridurre l’altissima percentuale di alunni che lasciano la scuola prima del tempo, quelli che non arrivano alla maturità e i 700mila Neet tra i 15 ed i 25 anni – conclude Pacifico – bisogna invece puntare forte sui tirocini aziendali, soprattutto negli istituti tecnici e professionali, dove gli abbandoni dei banchi sono hanno raggiunto livelli record. Non degni di un Paese moderno”.