Preg.mo Direttore,
l’8 Marzo si avvicina e come ogni anno le Istituzioni, la Chiesa e voi giornalisti vi preparate a celebrare questa data riempiendoci per una settimana di informazioni sul significato che tale evento riveste nella nostra società. Una gara spasmodica a chi ricorda più avvenimenti, più battaglie, più morti in nome della parità di genere. Anche lei vedo che da oggi si è preparato a sciolinare tutto il suo sapere con ben tre articoli sul mondo femminile. Non c’è dubbio che la diffusione della cultura sia importante, ma ridurre tutto a un giorno è veramente umiliante. La donna non gode degli stessi diritti dell’uomo e non né godrà mai (se si continua così). La rivolta dovrebbe iniziare dal piccolo, dal quotidiano. Questa premessa per invitarla a una riflessione su tre perle linguistiche che la nostra politica ci ha regalato: 1) non ho scelto una donna come assessore perché non ne ho trovata una con le competenze di Tizio o Caio…; 2) vengo attaccato da una certa stampa prostituta 3); gente in giacca e cravatta che ha stuprato la Sicilia. Ma con tutte le parole che si possono utilizzare perché si devono usare quelle che solo nel menzionarle offendono il genere femminile? Stuprare, prostituta, donne senza competenze… mi viene il vomito. Usare questi termini solo per esprimere un concetto o per attaccare chi non la pensa come te è veramente meschino. Meschino e senza rispetto per quelle donne che lo stupro e la prostituzione l’hanno vissuta, la vivono e la combattono. Donne senza un volto, senza una identità, senza una vita e soprattutto spesso senza uno stipendio fisso da professore o da primo cittadino. Donne con o senza figli, con o senza famiglia, con o senza futuro, ma di sicuro con tanta rabbia nel sentire che quello che loro patiscono venga usato nel gergo politichese. Chi riveste certe cariche, certi ruoli dovrebbe stare più attento. Chi c’è dietro costoro che rivestono cariche e ruoli (soprattutto se di estrazione clericale) dovrebbe prendere le distanze da tali affermazioni. Piuttosto che uno studio universitario sul fenomeno accorintiano ordinerei uno studio psichiatrico e personologico su chi usa tali affermazioni e soprattutto sulla gestualità e la verve che accompagnano il pronunciamento di tali parole quasi protese all ottenimento di un piacere psichico. A questo punto le chiedo di farsi portavoce di questo gesto simbolico: inviti le donne attive a Palazzo Zanca a indossare una fascia nera l’8 Marzo e gli uomini coscienziosi a prendere le distanze indossando una maglietta con scritto Je ne suis pas Renato.
Francesco Mondello