Francantonio Genovese e la politica del disonore

Adesso che tutti vanno a vedere Accorinti, "padrone di Messina", è tempo di dare un’occhiata a chi è diventato la merce dello scambio, l’on. Francantonio Genovese quello che tutti maltrattano e che sta in carcere. Il parlamentare è recluso nella Casa Circondariale di Gazzi non per scontare una pena detentiva, ma in applicazione di una misura cautelare. Le indagini nel procedimento in cui è l’esponente politico è coinvolto si sono chiuse … anzi è – persino – pendente il processo in fase dibattimentale. Un processo diviso in due tronconi. Pertanto, secondo Procura e Tribunale della Libertà, si teme ancora ‎ (esclusa l’astratta possibilità di un pericolo di fuga) per l’inquinamento delle prove o la reiterazione del reato. Inquinamento delle prove e/o reiterazione del reato dopo anni e anni di indagini, arresti, servizi televisivi su scala nazionale, titoli a nove colonne su testate giornalistiche non solo locali, commissioni parlamentari, voto alla Camera per l’autorizzazione alla applicazione delle misure, giudizi incardinati!? Sembra plausibile? Sembra verosimile? Quante domande… L’impresa non è facile: i protagonisti della politica messinese il caso Genovese l’hanno rimosso come un peccato. Nel programma quotidiano delle cose politicamente corrette per essere graditi al Sistema non compare più. Eppure, l’appello recentemente inviato ai media dall’avvocato nonché uomo politico, Emilio Fragale assicura: l’onorevole Francantonio è vivo e merita rispetto nell’essere giudicato. Per Fragale ci troviamo innanzi a una sorta di anticipazione della pena (pena a seguito di condanna – per definizione – non scontata) non tollerabile proprio per ragioni di "giustizia". Ciò a cui si assiste increduli, perplessi, preoccupati è un deficit di serenità che si traduce in un sostanzialismo nella affermazione delle baricentriche ragioni di c.d. difesa sociale nel sacrificio (se non nel dispregio) de‎lla libertà personale. Probabilmente, uno sguardo ispettivo sulla correttezza dell’operato a queste latitudini e a Palazzo Piacentini ‎affrancherebbe la vicenda dal retropensiero di un atteggiamento inteso ad assecondorare istinti di piazza e acritici rigurgiti sensazionalisti, populisti e giustizialisti. Eh, sì non resta che verificare. Il luogo di gara è la cosiddetta piazza mediatica una specie di circo senza tendone, venghino signori venghino ad ammirare, tra gli effluvi dei fast food, i signori Genovese imputati e su di loro scaglino la prima pietra. Folla ce n’è tanta, ma tutti deviano all’ultimo bivio: vanno alle feste a tema degli amici di Accorinti a fare "oohh" vedendo gli squali. All’ingresso di quella che fu la segreteria storica di Genovese, niente coda. Anche in sala stampa c’è il vuoto: meglio frequentare altre strade. Al Comune si vivono giorni frenetici: conti, resa dei conti e salti della quaglia. Pare che l’operazione per rifarsi l’imene costi tanto, ma cosa non si farebbe per ritrovare l’autostima, per avere una vita politica e lavorativa nuova. Oh, la verginità dei valori: la politica dei disonorati non è ancora finita. Quel che è successo finora è questo: si temeva fossero senza futuro politico con Genovese fuori gioco, hanno scaricato il peso della colpa su chi era abituato a sollevarlo. I "caproni espiatori" non hanno sponsor e appartengono ai gironi dei dannati che contano poco. Sono, a vedersi, un po’ ridicoli e tanto antiquati. Un cerchio si chiude. Inscrive una piccola storia ignobile, che narra di corsi e ricorsi storici, più che di formazione. Nel frattempo, è venuta giù la rivoluzione. Hanno perso le catene, ma, evidentemente, non il vizio. Che cosa resta, ora che tutto è perduto, anche l’onore? Per scoprirlo bisogna entrare nella sala di comando. L’effetto è malinconico: il Consiglio sembra una discoteca. In casa Genovese piove di tutto, dentro il cerchio magico di Accorinti c’è la festa. Potrebbe essere sua l’ultima follia di una città al capolinea. Avvocato Fragale quelli come lei che chiedono, riflettono, si interrogano sono pregati di scendere per non intralciare la corsa. Non c’è più la democrazia di una volta: per convincerli, li buttano fuori a calci scaricando, con loro e su di loro, le colpe di molti altri. Vien voglia di ripetere una frase a noi cara, con tanto di punto interrogativo: Ma in che razza di Paese viviamo?