Scuola e libertà d’espressione. Due casi e le prospettive

Due episodi che ci devono far riflettere. Uno a Firenze, l’altro a Cantù. Nel primo -scuola elementare fiorentina, classe IV, bambini 9-10 anni- le maestre fanno un regalo agli alunni che fanno la prima comunione, lo fanno davanti a tutti, inclusi quelli che non ricevono questo sacramento per vari motivi e scelte; alcuni bambini ci restano male. Del problema ne è stato investito il preside e nei prossimi giorni si sapranno le conseguenze. Nel secondo -asilo di Cantù- bambino di 4 anni minacciato di essere buttato fuori (mobilitazione maestre e preside) perchè, quando arrivava la mattina a scuola, faceva il saluto romano-fascista. Glielo avevano insegnato i genitori (militanti di un movimento filo-fascista) che, di fronte alla minaccia hanno convinto il bimbo a fare altrimenti.
Nel primo caso fiorentino è innegabile che le maestre hanno torto, la religione cattolica romana ha una specifica ora di insegnamento che non può e non deve coinvolgere i bambini che hanno scelto la cosiddetta ora alternativa. Nel secondo caso di Cantù, sembra altrettanto innegabile che abbiano ragione gli insegnanti perchè, stando alle leggi in vigore, l’apologia di fascismo è considerata un reato. Scriviamo “sembra” perchè ci domandiamo (semplificando molto il tutto): un saluto romano di un bimbo di quattro anni, fatto ad altrettanti bimbi, è apologia? Del fatto non ne sarà investita la magistratura e, quindi, non avremo mai una risposta certa. In entrambi gli episodi sono coinvolti dei bimbi, ma per fatti che hanno toccato i nervi più che altro a genitori e insegnanti. I primi -i genitori- preoccupati per l’educazione non-confessionale e non egualitaria dei loro pargoli (aggiungendo anche che ci sono rimasti male anche i bimbi per il non-regalo); i secondi -gli insegnanti- preoccupati per la violazione di legge (reato d’opinione) da parte di un bimbo di quattro anni verso altrettanti coetanei, oltre agli insegnanti. Se restiamo nell’alveo del “discorso comune”, fatto da altrettanto “uomo-donna comune” (quelli che non vogliono mai avere fastidi e pensieri, foss’anche in presenza dei più efferati problemi), come commento e riflessione, ci si dovrebbe aspettare un “poveri bimbi”, “ci sono i bimbi, certe cose non si dicono e non si fanno”, etc.
Noi -almeno crediamo- non facciamo un “discorso comune”. Cerchiamo, invece, di difendere e affermare i diritti degli utenti di un servizio, anche e soprattutto quando questi utenti sono soggetti più deboli come i bimbi. Premesso: di quanto accaduto a Firenze e a Cantù, non ci dovrebbero essere cadute e ricadute educative e culturali sui bimbi che, qualche ora dopo i fatti, gia’ non ci pensavano più. Ricadute che, invece, ci sono per i genitori di questi piccoli utenti e, di conseguenza, per la didattica. Spetta ai genitori, agli insegnanti, ai legislatori capire cosa c’e’ che non va o se tutto va bene, partendo dal presupposto che sono i piccoli gesti, le singole parole, le frasi brevi e autosignificanti, quelle che contano verso questi piccoli utenti; sistemi di comunicazione che hanno alle spalle una elaborazione culturale, sociale e politica che deve necessariamente semplificarsi, pena l’incomprensione e l’eventuale danno. Quindi. A nostro avviso. Genitori che “non devono fare spallucce” e lasciar correre, insegnanti che devono sempre tener presente la missione che sono chiamati a svolgere. Nel caso fiorentino gli insegnanti si devono ricordare che non sono a casa loro ma in quella comune, e che hanno a che fare con un impegno difficile e meticoloso che presuppone una costante e continua vigilanza a partire da se stessi. Difficile, visti i punti di partenza di un Paese che, fino a pochi anni fa, aveva la religione cattolica romana come religione di Stato e che, tutt’ora, ha l’articolo 7 della Costituzione che istituisce nei principi fondanti della Repubblica quelli del determinato e fondamentale rapporto con il Vaticano. Difficile, ma non impossibile. Superabile con uno sforzo comune, ammesso che in questo “comune” sia compresa la reciproca volonta’ di una scuola pubblica uguale per tutti, senza distinzione di sesso, religione o idee politiche. Nel caso di Cantù, gli insegnanti si devono ricordare di non cadere nel ridicolo… cos’altro e’ l’accusa di apologia di fascismo per un bimbo di 4 anni che fa il saluto romano e altrettanta minaccia che se non smette lo butteranno fuori? Mentre i genitori si devono ricordare che, consapevoli (si presuppone) di cosa il bimbo faceva a scuola, facciano mente ed educazione locale di non alimentare un comportamento del bimbo che può divenire oggetto di ridicole reazioni. Per finire, se non ci fossero articoli 7 della Costituzione (e Concordati) e reati per chi fa apologia di un’idea, quando si saranno anche superate le incrostazioni culturali e comportamenti che derivano da queste presenze, forse ne trarremo tutti maggiore giovamento. A partire dai nostri piccoli.

Vincenzo Donvito, presidente Aduc