CHI HA RUBATO LA SOVRANITà AI NOSTRI POPOLI

Continuando l’esposizione dell’agile libretto “Il popolo e gli dei”, scritto a quattro mani da Giuseppe De Rita e Antonio Galdo, ci si interroga sul perché i popoli europei sono stati derubati del loro potere reale, della loro sovranità. Gli autori sviluppano delle analisi abbastanza articolate sulla nostra società italiana nel mezzo della crisi economica. In questo orizzonte di sovranità perduta, gli italiani cercano diadattarsi in piccoli spazi, dette di microsovranità, comela famiglia, l’impresa, il territorio e il web. Qualcosa si può ancora modificare, per esempio, lo stile di vita. Anche se la famiglia ormai ha subito sostanziali cambiamenti, nonostante ciò esiste una specie di welfare dal basso, non regolato e non finanziato dallo Stato.Del resto è la famiglia che dà i soldi ai propri figli, ancora non occupati, che sono costretti a prolungare la convivenza familiare. Tuttavia, De Rita e Galdo, per quanto riguarda, la politica, registrano un certo interessamento e partecipazione degli italiani verso le amministrazioni comunali. Capita che nelle consultazioni comunali a Napoli e a Palermo, i candidati sindaci non sono espressione dei tradizionali partiti di appartenenza. Un altro aspetto interessante dellamicrosovranità si manifesta attraverso il “web e le sue diverse piattaforme di applicazione, a partire dai social network”. Secondo i dati dell’Agenzia per le comunicazioni sono più di 27 milioni gli italiani che utilizzano regolarmente internet: soltanto otto anni fa erano appena 2 milioni. Anche se al suo interno si trova di tutto, “La rete si trasforma in una agorà di scambi e condivisioni”. Per De Rita e Galdo, “l’utente non è più passivo, ma diventa attivo portatore della sua microsovranità. Il fenomeno del Movimento 5 Stelle è esploso anche grazie a un suo uso sapiente e spregiudicato di questo universo, dei suoi strumenti e della capillare possibilità di condividerli”. Ma tutto questo per gli autori del libro non fa sistema. Gli italiani secondo De Rita e Galdo vivono come in un grattacielo, “dove non esiste comunicazione tra i piani, e dove spesso si finisce per affollare gli scantinati”.Sono gli italiani espropriati della loro sovranità”. Dopo aver illustrato un tale scenario, gli autori si chiedono se esiste una via di uscita. Ma occorre partire da una domanda, fin troppo importante: “dove, in quale spazio istituzionale e politico, gli italiani possono recuperare sovranità e sentirsi più cittadini e meno sudditi?”. E qui De Rita e Galdo, ritornano al futuro dell’Europa, all’euroscetticismo e al populismo diffuso.
Si evocano le ambizioni dei “padri fondatori”, la piena integrazione politica, l’Europa federale, le aspettative dell’Europa sono state molto alte: “una bella utopia, un sogno da coltivare, un traguardo da non perdere di vista, ma purtroppo non tiene conto della realtà e rischia di alimentare ulteriori frustrazioni”. Per gli autori del libro, “pesa come un macigno il progressivo allargamento dei paesi partner”. Probabilmente, c’è stata un’eccessiva fretta, con una buona dose di ingenuità. L’unione politica, forse era possibile nell’Europa a 6, diventa irrealizzabile con 28 Stati. Ormai nessuno crede più all’Europa federale come un traguardo possibile, a partire dell’establishment politico dei Paesi più forti dell’Unione, a partire dalla Francia e dalla Germania. E l’Italia che cosa potrà fare? Innanzitutto deve risolvere due grosse questioni, prima, quella deldebito pubblico che pesa come un macigno sulla nostra politica, cresciuto fino al 130 per cento del prodotto interno lordo e poi la crisi sociale del Mezzogiorno. Sono due fronti su cui intervenire per essere credibili in Europa. “Senza una ripresa del Sud, non ci sarà mai la ripresa del Paese. Perdere il Mezzogiorno significa perdere noi stessi”, scrivono De Rita e Galdo. E qui anche loro fanno un elenco delle solite cose che non vanno al Sud. La disoccupazione alle stelle, la crisi industriale di Termini Imerese in Sicilia e l’Ilva in Puglia. “Il turismo resta escluso dai grandi circuiti dell’offerta internazionale, i beni culturali non sono sfruttati e rischiano il deterioramento (vedi il sito archeologico di Pompei)… Attraverso un processo di graduale decrescita, la distanza del Mezzogiorno dal resto del paese si è allargata e le politiche finora realizzate, quando ci sono state, non hanno prodotto alcun risultato degno di rilievo”. In conclusione per i due giornalisti, “la bassa crescita dell’Italia è influenzata in modo determinante dal dualismo territoriale sempre più accentuato, un connotato che non uguali nell’area dell’Unione Europea”. In pratica il Nord Italia, è più vicino ai Paesi più ricchi come la Germania, “mentre i livelli di reddito delle regioni meridionali sono comparabili o inferiori a quelli della Grecia”. Il libro svela alcuni particolari riguardanti la crisi del Meridione. Spesso la colpa viene rapportata al fatto che al Sud scarseggiano o mancano del tutto le risorse finanziarie. Non è così. “Nella scuola e nell’università, per esempio, il Sud spende più del Nord, ma con risultati peggiori”. La spesa pubblica per l’istruzione è superiore del 24,9 per cento rispetto al Nord.
E poi c’è la questione su come si spendono i fondi europei. Risulta impegnato appena il 53 per cento delle risorse disponibili e viene speso appena il 21,2 per cento. Serve più coraggio politico e amministrativo per evitare che i fondi europei non siano dispersi in mille rivoli, in quel “meccanismo infernale che ha contribuito alla formazione di un vero ceto della spesa pubblica europea, formato in prevalenza da ‘sviluppatori’ con diverse qualifiche tecniche – dall’architetto al geometra, dall’esperto di marketing al consulente della pubblica amministrazione – tutte figure molto vicine per connotati alla categoria dei faccendieri”. Poi, De Rita e Galdo fanno qualche esempio di spese assurde nel nostro Mezzogiorno con i fondi europei. In pratica al Sud, le aree depresse, dopo più di mezzo secolo, sono ancora più depresse e “perdura la tendenza del ceto politico a mostrare i muscoli per ottenere più fondi per il proprio territorio, con lo scopo di finanziare le spese più varie e incassare poi il dividendo politico sotto forma di consensi elettorali”. Interessante a questo proposito è la citazione nel libro di Giorgio Amendola che negli anni sessanta fu tra i pochi dirigenti politici nazionali a opporsi alla dilatazione della spesa pubblica, una specie di piano Marshall per il Sud, nelle regioni meridionali: “la via per la soluzione della questione meridionale – scriveva l’esponente comunista – non è quella di un intervento dall’esterno o dall’alto. La via è un’altra: quella di permettere alle stesse popolazioni meridionali di operare il rinnovamento e il progresso economico di quelle regioni e di promuovere lo sviluppo delle forze produttive”. Intanto il Mezzogiorno si sta impoverendo con il 23 per cento degli iscritti all’università che si spostano verso gli atenei del Centro-Nord e un quarto dei residenti che si reca in altre regioni per farsi curare. In conclusione i due economisti danno qualche suggerimento per uno sviluppo del Sud, sono sempre i soliti: la scuola, università e ricerca, i servizi turistici e l’industria culturale, per attirare gli investimenti stranieri e i flussi turistici. E’ un destino a catena: “senza l’Italia non si può rilanciare l’Europa, ma senza il Sud non si può rilanciare l’Italia”.

Domenico Bonvegna
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