La ripresa c’è ma le ferite della crisi sono profonde

La crescita nel primo quarto del 2015 (+0,3 per cento) è per molti superiore alle attese. Parliamo di decimali, è vero, ma quelli del primo trimestre sono sempre molto importanti: se si mette fieno in cascina all’inizio, a meno di una nuova recessione, che nessuno prevede, siamo sulla buona strada. Per quanto riguarda Confcommercio, il dato è coerente con la valutazione della crescita 2015 oltre l’1 per cento, in ragione della pluralità degli impulsi esterni, che è inutile commentare, e di un paio di decimi di punto di effetto Expo sullo stesso pil (tre decimi sui consumi). Non si tratta di essere ottimisti ma di valutare dentro uno schema ragionevole gli effetti che il direttore Cerasa indicava su questo giornale il 17 maggio. Diverse autorevoli stime effettivamente suggeriscono impatti aggiuntivi sul pil derivanti sia dalle misure della Bce sia dal minore costo del petrolio, tenuto conto dell’effetto del cambio. Dico aggiuntivi: cioè andrebbero sommati alla previsione del pil senza questi effetti, che nell’autunno del 2014 poteva quantificarsi in un mezzo punto di crescita per il 2015. Ora, il professor Nannicini, nella replica del 20 maggio a questo giornale, segnala giustamente il pericolo di sommare effetti presi da fonti differenti e valutati in contesti differenti, e quindi, come a sette e mezzo, di scassare: si dovrebbe cioè prevedere una crescita del pil ben oltre il 2 per cento, a meno di non attribuire all’effetto "governo Renzi" un valore eccezionalmente negativo (per riportarci, appunto attorno all’1 per cento). Effetto che nessun governo, almeno dentro un’economia di mercato, può avere. Il problema, crudamente sollevato dal direttore Cerasa, riguarda la seconda domanda, quella relativa all’attribuzione del merito di qualsiasi variazione positiva di qualsiasi grandezza, a questo o a quell’altro. Se accettassimo l’idea che la ripresa la fanno i lavoratori e le imprese? E che al massimo il governo, qualsiasi governo, può creare le condizioni per facilitare l’azione di famiglie e imprese? Il governo orienta, non rema. In questa visione diventa più facile valutare l’azione dell’esecutivo. Il Jobs Act non deve creare lavoro, né subito né tra molto tempo e quindi, inutile impazzire due volte al mese per verificare se c’è o non c’è un segnale in questo senso. Deve costituire uno strumento adatto a fare meglio impresa perché, sì, gli agenti rispondono agli incentivi e se questi sono ben congegnati quelli agiranno meglio. Lo stesso dicasi per le riforme costituzionali, di grande importanza, e della riforma fiscale, la cui delega va nella giusta direzione. Sul piano dei numeri congiunturali l’inversione di tendenza c’è: il reddito disponibile è almeno non decrescente, i consumi sono in moderata ripresa (+0,4 per cento l’indicatore di Confcommercio che comprende anche le vendite al dettaglio dell’Istat), la produzione industriale è in accelerazione tra gennaio e marzo, l’occupazione è sopra la media dei primi tre mesi del 2014 (+0,2 per cento), la capacità utilizzata degli impianti produttivi è in costante aumento da tempo, le immatricolazioni di auto e di veicoli industriali mostrano anche in aprile un significativo incremento. Che il saldo estero abbia fornito un contributo negativo nella prima parte dell’anno non preoccupa. Verosimilmente, le esportazioni sono andate bene – in ulteriore crescita in aprile – ma le importazioni sono andate meglio, sia per consumi sia per materie prime e beni intermedi da utilizzare per la produzione interna. C’è tempo per un ulteriore sviluppo dell’export come anche dovrebbe migliorare il saldo di nati-mortalità delle imprese del terziario di mercato (ancora negativo per circa 30 mila unità nella prima parte dell’anno in corso). Nei prossimi trimestri il pil si confronterà con i valori particolarmente depressi dei corrispondenti periodi del 2014. Così, anche dal punto di vista statistico, la dinamica anno su anno migliorerà. Tutto bene? No, ma non per il diffuso richiamo al fatto che questa modesta ripresa non lenisce le ferite di una crisi straordinariamente lunga e profonda. I piani non vanno confusi: stiamo cercando di capire cosa accade oggi e con quale intensità; altro è misurarci con il passato valutando un ritorno a una crescita robusta e duratura. Il problema è diverso e riguarda la confusione e l’incertezza sul nostro prossimo futuro fiscale (e la sentenza della Corte sulle pensioni non aiuta). Bisogna fare chiarezza sui conti pubblici per scongiurare adesso l’innesco delle clausole di salvaguardia del 2016. Non vale farlo la vigilia di Natale perché a quel punto sarebbero già stati persi ingenti quantità di pil e consumi per la paura di nuove tasse. Ciò renderebbe più ardua la stessa tenuta dei conti il prossimo anno.

Mariano Bella, direttore Ufficio Studi Confcommercio

Grazie. Il suo ragionamento, molto puntuale, conferma le nostre convinzioni. L’Italia crescerà per i fatti suoi, quest’anno e il prossimo anno. E se il governo non riuscirà ad assecondare questa crescita, e a creare le condizioni per farla aumentare in modo esponenziale (riduzione delle tasse, taglio della spesa pubblica), non si potrà far finta di nulla. L’Europa, dopo tanti mesi, è un treno che ha riacquistato una sua piccola velocità e chiunque, in Italia e nel resto d’Europa, non riuscirà a stare al passo con i tempi non potrà che essere considerato come un ostacolo alla ripresa del paese. La sfida di Renzi, in fondo, è tutta qui.