Dare una mano ai sacerdoti…

di ANDREA FILLORAMO

Da trent’anni, nel Milanese, vi è un “gruppo di sostegno” ai preti in difficoltà, fatto da volontari (psicologi, psicanalisti, medici, preti sposati), che ha dato e continua a dare speranza a quei preti, che, per i loro malanni psicologici, talvolta speranza non ne hanno. Esso non è “istituzionalizzato”, non appartiene cioè a nessuna chiesa, non ha uno statuto, un ufficio, un sito Internet, un numero di telefono, non chiede soldi; è, inoltre, caratterizzato dall’assoluta riservatezza e reso efficiente dal “passaparola” fra quanti e sono tanti, che ne sono venuti a contatto o ne hanno trovato giovamento. Talvolta il gruppo indirizza verso una specifica “istituzione “ religiosa, o anche laica, che se ne prende cura. Sono lieto di appartenere a questo gruppo che mi impegna a “dare una mano” ai sacerdoti e aiutarli o a recuperare la serenità per esercitare in modo più efficace il loro ministero oppure, e questo può avvenire, a inserirsi in modo consapevole nel mondo laicale qualora dovessero fare liberamente questa scelta. Se ciò accade, il gruppo si fa carico dell’impegno di trovare un posto di lavoro per facilitare la scelta già fatta. Molto semplice la filosofia del gruppo, che in sintesi viene qui rappresentata: la crisi del prete, come del resto la crisi di ogni uomo e di ogni donna, ha una storia e la lettura di questa storia consente di valutare gli aspetti importanti del disagio e formulare un adeguato programma di interventi a livello personale. E’ importante suscitare, nel prete in difficoltà, una piena consapevolezza delle proprie risorse (autostima, autoefficacia percepita, ecc) e della natura dei problemi. Bastano questi pochi accenni, dato che il discorso sarebbe lungo e molto articolato, per far comprendere quale è l’approccio che diamo agli incontri. Ma, quali sono i disagi che colpiscono i preti, che nella nostra trentennale esperienza abbiamo rilevato e dei quali il gruppo particolarmente si fa carico? Innanzitutto c’è la depressione, che nelle sue varie forme, che ha una sua precisa caratterizzazione, sofferta molto spesso nel silenzio, data da situazioni da stress logoranti, da dinamiche interpersonali complicate, dallo sforzo che il prete fa per apparire molto spesso agli altri diverso da quello che veramente è. La depressione può nascere da una gamma di sofferenze, date innanzitutto dai problemi affettivi irrisolti o mal risolti o anche da problemi vocazionali, o da ritardi di maturazione, da conflitti, fratture e anche abbandoni. L’abbandono degli impegni o della preghiera, della meditazione e della stessa lettura, denunciano la fragilità che conduce prima o poi alla depressione; così pure il lasciar perdere l’aggiornamento, la formazione, l’abdicare le responsabilità. Pertanto la pastorale, al prete depresso, sembra soffrire di stress, di frustrazione. La frenesia, l’attivismo eccessivo, le insicurezze, la difficoltà di vivere da solo, l’incapacità di relazioni profonde, l’incapacità di programmazione, di riflessione, il bisogno di consenso, col passare del tempo aggravano la sua situazione, Da tener presente che Il prete difficilmente parla delle sue debolezze, preferisce parlare delle debolezze umane in senso generale, E’ facile per lui, per esempio, parlare di omosessualità in genere, ma non ha la forza, non ha il coraggio di ammettere d’essere omosessuale. Condanna la pedofilia dei preti ma stenta ad ammettere qualche sua percezione di “inclinazione” anche se immediatamente domata, Non sopporta uno standard di vita stressante, ripetitivo e che coinvolge la parte più profonda dei meccanismi psicologici, tuttavia sostiene che si sente sereno in quanto sostenuto dalla fede. Scegliendo la vita clericale egli è cosciente di aver lasciato molte cose ma non a livello affettivo e di legame, pertanto gli errori, i fallimenti, che intaccano la personalità non gli permettono di vivere in pace le scelte attuali. Da questa sofferenza emergono nuovi meccanismi psicologici di difesa come: l’attardarsi in molte cose da fare che dicono spesso l’affanno o la copertura di altri problemi; il rifugiarsi in scelte che sembrano innocue, ma fuorvianti per compensare la frustrazione di non essere capiti o di non valere agli occhi degli altri; il cedere alle nostalgie del passato per recuperare punti fermi che non esistono più. Già nel 200 d.C. il filosofo neoplatonico Plotino, poneva l’accento su un argomento molto attuale, valido per tutti, quindi anche per i preti. Egli affermava che sotto la scorza dell’uomo esteriore se ne nasconde un altro: l’uomo naturale, colui che incarna la nostra essenza, il più vicino alla nostra autentica natura. L’autenticità di ognuno di noi si trova nel buio del nostro essere, e non nel lato visibile. Se tornassimo ad ascoltare la voce del nostro uomo naturale, potremmo mantenere la rotta senza dubbi e incertezze, grazie alla naturale fiducia in noi stessi e tenere quindi lontana la depressione.