Se il carico fiscale del nostro Paese fosse in linea a quello medio europeo, ogni italiano risparmierebbe 904 euro all’anno di tasse e contributi. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha messo a confronto la pressione fiscale dei principali Paesi Ue registrata nel 2014: successivamente, l’analisi dell’Ufficio Studi ha definito il differenziale di tassazione degli italiani rispetto ai contribuenti degli altri Paesi europei. Il risultato, come era facilmente prevedibile, vede gli italiani occupare le primissime posizioni della graduatoria dei contribuenti più tartassati d’Europa. Tra i principali Paesi dell’Unione presi in esame, la pressione fiscale più elevata si riscontra in Francia. A Parigi, il peso complessivo di imposte, tasse, tributi e contributi previdenziali è pari al 47,8 per cento del Pil. Seguono il Belgio, con il 47,1 per cento, la Svezia, con il 44,5 per cento, l’Austria, con il 43,7 per cento e, al quinto posto, l’Italia. L’anno scorso la pressione fiscale nel nostro Paese si è fermata al 43,4 per cento del Pil. La media dei 28 Paesi che compongono l’Ue, invece, si è stabilizzata al 40 per cento; 3,4 punti in meno che da noi. Nella comparazione, l’Ufficio studi della CGIA ha deciso di calcolare anche i maggiori o minori versamenti che ognuno di noi “sconta” rispetto a quanto succede altrove. Ebbene, se la tassazione nel nostro Paese fosse in linea con la media europea, ogni italiano l’anno scorso avrebbe risparmiato 904 euro. Effettuando il confronto con la Germania, invece, si evince come i tedeschi paghino mediamente 1.037 euro all’anno in meno rispetto a noi. Analogamente, gli italiani pagano 1.409 euro in più rispetto agli olandesi, 1.701 euro in più dei portoghesi, 2.313 euro in più degli inglesi, 2.499 euro in più degli spagnoli e ben 3.323 euro in più rispetto agli irlandesi. Sempre rispetto al livello italiano di tassazione, si nota come gli austriaci abbiano pagato 80 euro in più rispetto a noi, gli svedesi 292 euro in più, i belgi 984 euro in più e, infine, i francesi, con ben 1.170 euro in più.
Dalla CGIA ricordano che il dato della pressione fiscale italiana relativa al 2014 non tiene conto dell’effetto del cosiddetto “Bonus Renzi”. L’anno scorso, infatti, gli 80 euro “restituiti” ai redditi medio bassi dei lavoratori dipendenti sono costati alle casse dello Stato 6,6 miliardi di euro. Quest’ultimo importo è stato contabilizzato nel bilancio della nostra Amministrazione pubblica come spesa aggiuntiva. Pertanto, se si ricalcola la pressione fiscale considerando questi 6,6 miliardi di euro che praticamente sono un taglio delle tasse, anche se contabilmente vanno ad aumentare le uscite, la pressione fiscale scende al 43 per cento. In relazione a questa precisazione, la CGIA ha redatto anche una comparazione che tiene conto di questa specificità.
“Per pagare meno tasse – dichiara Paolo Zabeo della CGIA – è necessario che il Governo agisca sul fronte della razionalizzazione della spesa pubblica; con tagli agli sprechi, agli sperperi e alle inefficienze della macchina pubblica. Inoltre, questa operazione dovrà essere realizzata molto in fretta. Entro il prossimo 30 settembre, infatti, a seguito della mancata autorizzazione dell’Unione europea all’estensione del reverse charge alla grande distribuzione, il Governo dovrà reperire 728 milioni di euro, altrimenti è previsto un aumento delle accise sui carburanti di pari importo”.
E per evitare un nuovo aumento delle imposte, l’Esecutivo dovrà sterilizzare una serie di clausole di salvaguardia estremamente “impegnative”. Sebbene il ministro Padoan abbia in più di un’occasione scongiurato un nuovo aumento del carico fiscale, con la prossima legge di stabilità dovrà trovare oltre 16 miliardi per evitare un aumento delle entrate di pari importo per l’anno venturo. Tagli che dovranno salire a 25,4 miliardi nel 2017 e a 28,2 nel 2018.
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