di ANDREA FILLORAMO
Massimo Franco, giornalista del Corriere della Sera, in un articolo che fa riferimento a Papa Francesco e al suo ”rapporto tormentato” con la Curia “fra fedelissimi, ostili e dissenso nascosto”, che ha per titolo: “Il 20 per cento dei vescovi è con lui” così scrive: “C’è depressione, la gente sta con le ali basse. Quando parla dei vescovi, questo Papa, che pure mostra una grande misericordia verso tutti, sembra incline a usare il bastone (……..,). Le parole pronunciate (…….) da Francesco (……..) hanno lasciato tracce profonde e fatto riaffiorare riflessioni amare. Sono state vissute come la conferma di una severità che (…….) viene avvertita con dolore e sorpresa: quasi fosse l’onda lunga di un Conclave che nel 2013 rivelò una maggioranza ostile a qualunque ipotesi di papato italiano e curiale. Il rischio è di accreditare l’idea di un Pontefice convinto che la Chiesa cattolica si salvi allargando il fossato con una nomenklatura ecclesiastica sospettata di essere collusa con il potere”. Questa è la sua considerazione. Da essa e da altre contenute nell’articolo citato, prendo le mosse per ancora una volta scrivere di questo pontefice, molto amato dai fedeli e dai preti ma non sempre da tutti i vescovi, almeno da quelli che non riescono o non vogliono comprendere il programma di questo papa, che vuole cambiare la Chiesa, e non sanno leggere in profondità quanto è avvenuto a Roma, prima di lui, cioè durante il pontificato di Benedetto XVI, che è stato costretto alle dimissioni a causa degli scandali e delle lotte intestine fra vescovi e cardinali della curia romana. Il disagio dei vescovi di fronte alla testimonianza di Papa Francesco, si legge facilmente nelle difficoltà che essi trovano nelle loro diocesi, dove finalmente da preti e laici si chiede trasparenza, lungimiranza, stile di comportamento, abbandono dei privilegi, vita semplice e morigerata, distacco dai beni materiali. E’ lo stesso Papa che chiede loro di eliminare tutti quei valori che hanno un effetto negativo sulla serena sopravvivenza e propone una una chiesa che riscopra una vita più sobria e frugale, quasi di sussistenza, all’interno della propria comunità in cui il valore principale è la carità.Come perseguire questo obiettivo? Secondo il Papa, i vescovi devono convincersi e convincere gli altri che oggi, non solo l’abbondanza non ci rende felici, ma, al contrario, meno abbiamo e meglio stiamo. Ma questo messaggio papale è duro ad essere capito e attuato, dato che presso gli episcopati europei si avverte “l’abitudine a percepirsi quasi come dei principi”, come rileva un alto prelato latinoamericano. “ Ma simili contrasti finiscono per accreditare un conflitto sordo tra due visioni di Chiesa; e perfino per evocare l’idea di due Chiese, incapaci di dialogare, perché, invece di ridursi, le distanze tra di loro minacciano di ampliarsi. Ormai è chiaro che dopo due anni, il Papa ha deciso di affidarsi ad una sorta di Curia in formato ridotto, perché non si fida di quella esistente; e di modificare alla radice il “cursus honorum” vescovile e cardinalizio, in Italia e altrove: come se le posizioni di rendita fossero state azzerate, dopo le dimissioni di Benedetto XVI”. Ormai sembra accertato che il Papa esprime e non solo a parole, un modello di Chiesa che non è italiano e che, con enorme difficoltà, molti vescovi italiani e non solo, difficilmente possono accettare. E’ indubbio che i vescovi si sentono oscurati da Francesco, talvolta anche bistrattati. Molti vivono con la paura di essere “controllati”, temono di ricevere improvvisamente un “ amministratore apostolico” che li obbliga al “redderationem” e a dimettersi per l’incapacità amministrativa o pastorale dimostrata. Sanno bene che questa sorte è toccata a tanti di loro, pedofili e non. Sanno anche che le segnalazioni di malgoverno, di “ mastodontici errori”, di “ soprusi”, di “ cessioni di beni”, di “ingiustizie” da parte dei vescovi arrivano a Roma a cascata e forse essi non riescono più a rivolgersi in richiesta d’aiuto a quei cardinali protettori che forse hanno contribuito, e per qualcuno in modo determinante, alla loro elezione all’episcopato. Non c’è più, oltretutto, Il Cardinal Bertone. E’ certo che questi vescovi, da un po’ di tempo, non dormono più sonni tranquilli se sanno di aver agito non per il bene dei fedeli a loro affidati ma per il loro rendiconto. Non temono le “ prese di posizione” dei presbiteri, giacchè, pur sapendo che precise norme del Diritto Canonico e disposizioni della CEI vietano ai vescovi alcune operazioni amministrativo- contabili senza l’avallo dei presbiteri,ritengono che i preti per un concetto errato di “sacralità” applicato a loro, mai pensano che un vescovo possa agire contra legem e, quindi, si rifiutanodi controllare. Intanto, cresce ancora la ricchezza di cardinali e vescovi.Tra i vescovi e cardinali, infatti,sono tanti i proprietari di grandi fortune private. Palazzi, appartamenti, monolocali, fabbricati rurali, capannoni, cantine, fattorie, agrumeti, uliveti, frutteti, boschi e pascoli sterminati sono di loro proprietà.Si tratta di ricchezze spesso frutto di lasciti.Questi prelati indubbiamente costituiscono una specie di “club dei milionari” mal accolto dal Papa che non perde occasione per richiamarsi alla “Chiesa dei poveri”, ammonire che “San Pietro non aveva il conto in banca”, scagliarsi contro “il peccato della corruzione” e contro “certi preti untuosi, sontuosi e presuntuosi” che sfoggiano “macchine di lusso”.A documentazione di ciò vi è libro-inchiesta di Mario Guarino (“Vaticash”, ed. Koinè). Si tratta di un’inchiesta giornalistica che riserva parecchie sorprese.Non riveliamo,per esigenza di privacy, i nomi di vescovi milionari in essa riportati e fra questi anche nomi di prelati siciliani.