Emergenza ecologica. Per superarla, cambiare modo di pensare

La presenza continua e massiccia della crisi economica sembra che abbia relegato in secondo piano l’urgenza ecologica, nonche’ le questioni di identità e la tutela della biodiversità. Ma nel frattempo gli scombussolamenti climatici provocano immense catastrofi, con la conseguenza di angoscianti preoccupazioni diffuse e problemi sanitari. L’inquinamento atmosferico fa crescere il pericolo di malattie, le monocolture intensive impoveriscono i terreni e mettono in pericolo le ultime terre risparmiate dalla religione del progresso. Senza dimenticare la meno tragica -ma problematica- trasformazione di litorali, montagne e campagne in spazi rurali che, in seguito allo sviluppo urbano mondializzato, sono divenuti periferie. E’ come se la nostra casa bruciasse e noi guardassimo altrove. Atteggiamento che ci fa venire in mente quel che intende Friedrich Nietzsche affermando “il deserto cresce: guai a colui che cela deserti dentro di sé!”, cioè, se la tendenza del deserto (inteso non solo come aridità e abbandono, ma anche come ignoranza determinata dall’incapacita’ individuale) e’ quella di crescere, chi cela deserti dentro di sè rischia di rimanere soffocato dalla sabbia, non ha -cioe’- utilizzato la sorgente vitale della conoscenza. Questo si manifesta in un contesto in cui l’ecologia politica, ormai quasi assente o marginalmente presente (Germania, Francia, per esempio) nelle forme organizzate, anche istituzionalmente, che avevano caratterizzato i decenni passati, spesso non è altro che un teatro di lotte di piazze microscopiche: comitati di quartiere, di palazzo o di zona e simili, quasi tutti operanti con la filosofia del Nimby (acronimo inglese per Not In My Back Yard: "non nel mio cortile"). Nel contempo la politica ecologica dei governi tende solo a costruire un’immagine positiva di se’ sotto il profilo ambientale, ma con l’intento di distogliere l’attenzione dagli effetti negativi sull’ambiente che sono provocati proprio dalle loro stesse politiche. E l’allarme oggi arriva da alcune autorita’ spirituali. Nel “Laudato si”, la seconda enciclica di papa Francesco scritta nel suo terzo anno di pontificato, si perora una certa decrescita per cercare di arginare la devastazione planetaria. Poiche’ “tutto e’ collegato”, dice il papa cattolico romano, “il dominio assoluto della finanza” e la “cultura dello spreco”. La conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, che si terra’ dal prossimo 30 novembre all’11 dicembre, dovrebbe in qualche modo essere un punto di riferimento per un ritorno della politica verso i problemi ecologici. Ma -come dice Jean-Claude Ameisen, medico immunologo e presidente del francese Comité consultatif national d’éthique (CCNE)- non guardiamo altrove, noi focalizziamo la nostra attenzione sul solo riscaldamento climatico. Grande errore. Perche’ il clima non e’ altro che un rivelatore. Si puo’ molto bene rimandare nel tempo la catastrofe ecologica e sanitaria planetaria con due gradi Celsius in meno -ci ricorda. Ma, per l’appunto, solo rimandare. In effetti, e’ possibile diminuire le emissioni di anidride carbonica e di gas ad effetto serra senza intervenire in modo rilevante per diminuire le emissioni di particelle fini o di nitrati, che rappresentano il vero pericolo per la salute. E, “focalizzare la preoccupazione ecologica sul solo riscaldamento climatico rischia di distrarci dagli impegni indispensabili per proteggere la salute umana, ridurre le ineguaglianze e preservare il nostro ambiente”.
Come diceva Albert Einstein: “Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso modo di pensare di chi ha generato questi problemi”. Un altro rapporto con la natura, cioe’ con la nostra umanita’, deve essere inventato. E senza andare molto lontano dallo sguardo meravigliato ed inquieto che Charles Darwin concentrava sulle specie e sugli spazi che al suo tempo (1809-1882) erano minacciati. Si tratta di una osservazione scientifica e di una constatazione empirica: si soffre meno la depressione quando siamo con gli animali, con i giardini e con i vari spazi verdi. Occorre vedere piu’ lontano.

Vincenzo Donvito, presidente Aduc