Mc 7,31-37
Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: "Effatà", cioè: "Apriti!". E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: "Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!".
di Ettore Sentimentale
Il racconto della guarigione del sordo-muto ha come cornice ambientale una regione spesso battuta da Gesù: laDecàpoli. Una zona di frontiera: abitata da pagani e credenti, viene sempre additata come il luogo per eccellenza dell’azione missionaria. A differenza dei grandi centri urbani e delle città-simbolo in cui si badava molto all’osservanza “formale” della Legge, un ambiente così cosmopolita richiedeva un’apertura non indifferente verso gli ultimi, una presa di coscienza delle diversità. Oggi si direbbe: un’apertura alle “periferie” del mondo, altrimenti si rischia di far diventare la comunità ecclesiale un ghetto, una delle tante sette. A tal proposito, mi sia permesso, di indicare le provocazioni di Marco Marzano nei confronti del mondo ecclesiale odierno. Questo laico ha scritto diversi libri che hanno per oggetto i cattolici, fra i tanti il più articolato e interessante mi sembra “Quel che resta dei cattolici”, Feltrinelli 2012. Vi esorto a leggerlo tutto, ma con particolare attenzione l’ultimo capitolo: “Che mille sette fioriscano: antropologia del nuovo cattolicesimo”.
Torno al brano evangelico. Il messaggio globale che S. Marco propone è immediato, seppur articolato attraverso dei simboli: Gesù vuol guarire la nostra sordità “spirituale”. Una malattia della quale difficilmente si prende coscienza…perché “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”.
Nel Primo Testamento la sordità è una metafora per descrivere la chiusura e la resistenza del popolo verso Dio. Parecchie volte i profeti e i salmi denunciano che Israele ha gli orecchi ma non ascolta quanto Dio va dicendo. E per la Bibbia, l’ascolto avviene attraverso il cuore, non tanto con gli orecchi.
Alla luce di queste brevi considerazioni, le guarigioni dei sordomuti narrate dagli evangelisti (compresa quella in oggetto) sono dei chiari inviti alla conversione, a lasciare che Gesù curi le nostre continue sordità e resistenze che impediscono di ascoltare la chiamata a seguirlo, soprattutto in un territorio ostile. Quali passi sono necessari perché anche le comunità cristiane vivano di “ascolto” fruttuoso della Parola?
Vorrei rispondere parafrasando alcuni snodi essenziali del brano in oggetto.
Il punto di partenza è prendere coscienza della propria “sordità”, la quale spinge a vivere lontani dagli altri e senza alcun desiderio di qualcuno che possa curarci. Nelle sette di cui parlavo sopra, questo è il vissuto quotidiano. Per fortuna nostra, però, si incontra qualche amico “diverso” che si interessa di noi fino a “portarci” a Gesù. Così dovrebbe essere tutta la comunità cristiana: un gruppo ove ci si aiuta mutuamente per vivere non intorno a questo o a quell’altro leader, ma a Gesù…prendendosi cura del suo messaggio.
Il brano evangelico suggerisce che la guarigione avviene in due momenti. Perché? Non è facile per Gesù curare una persona senza un incontro “privato” con la stessa. Dice S. Marco “lo prese in disparte, lontano dalla folla”. Il Maestro ha avuto bisogno di raccoglimento e legame personale. Anche nelle nostre comunità abbiamo bisogno di un clima che permetta un rapporto profondo e vitale con Gesù. La fede in Cristo nasce e cresce in forza di questa relazione con lui.
Infine Gesù ha faticato parecchio con gli orecchi e la lingua dell’infermo. Ma paradossalmente non basta. È necessario che il “paziente” collabori. Per questo Gesù, dopo aver levato gli occhi al cielo (chiedendo praticamente al Padre che si associ al suo lavoro di “guaritore”), grida al malato la prima parola che deve necessariamente ascoltare chi fino a quel momento è stato “sordo” e “muto” davanti a lui e al suo Vangelo: “Apriti!”. Non ha detto “apri gli orecchi e la bocca”. Ma tu, come persona, apriti a Cristo e al suo messaggio.