Ci siamo mai chiesti se nel sottofondo delle nostre vedute non vi sia almeno il rischio di ferire gli altri?

di Ettore Sentimentale

Dopo la conclusione del Sinodo sulla Famiglia, mentre ci prepariamo ad accogliere ciò che lo Spirito dice alla Chiesa attraverso il lavoro dei padri sinodali, penso sia opportuno riprendere – seppur sotto altra prospettiva – le provocazioni ascoltate il 16 u.s. da p. Fortunato, circa la misericordia di Dio e l’atteggiamento con il quale viverla.

Vorrei tratteggiare quello che mi sembra l’aspetto più indissolubile della misericordia, vale a dire il perdono.

Tale atteggiamento affonda le sue radici nel cuore stesso di Dio che – come dice la Scrittura – “non si ricorderà più dei peccati degli uomini“ (Sir 23,18), ma li perdonerà dal profondo del cuore (cfr. Mt 9,6).

Se da una parte Dio è sempre disposto a perdonarci, dall’altra non è così per noi che ci “professiamo” cristiani. Basta una generale panoramica per cogliere in tutta la drammaticità la verità di questo asserto: malintesi, incomprensioni, offese, scandali…sono sempre all’odg fra i cristiani. Quello che più indigna, però, è che tante persone hanno sofferto e continuano ancora sulla stessa linea per l’influsso negativo della Chiesa nella loro vita personale e comunitaria.

Davanti a questa vergogna diffusa, anche papa Francesco ha chiesto perdono – come aveva già fatto S. Giovanni Paolo II nel 2000 – per tutto il male commesso dagli appartenenti alla comunità ecclesiale.

Fin qui si potrebbe pensare che – nello stesso tempo – il discorso riguardi tutti e nessuno. Dico subito che non è così e non potrà mai esserlo. Tratteggio qualche ricaduta che tale affermazione deve avere nella nostra comunità parrocchiale. Aggiungo pure che la mia riflessione non sarà certamente esaustiva, perché postula l’impegno di ciascuno a collocarla nella propria vita e ad agire di conseguenza.

Comincio con un’affermazione preliminare e basilare. La comunione in seno alla nostra parrocchia passa necessariamente attraverso il perdono, perché in questo modo Dio vuole rinnovare la sua Alleanza con noi. Questo è il “modus agendi” di Dio.

Di contro penso sia evidente a tutti che i nostri incontri – a vari livelli – mostrano ampiamente che nella comunità parrocchiale vi sono sensibilità differenti. Fin qui tutto normale se non fosse per i disagi causati dal voler proporre come migliori le esperienze spirituali personali.

Cerco di essere più chiaro. Ci siamo mai chiesti se nel sottofondo delle nostre vedute non vi sia almeno il rischio di ferire gli altri? Irrigidirsi nel voler mantenere a tutti i costi la propria posizione, non serve a nulla. Dobbiamo sempre più apprendere a vivere la comunione parrocchiale attraverso cammini necessariamente differenti dal passato, nei quali – senza negare quanto ha permesso di vivere la nostra fede in simbiosi con gli impegni professionali e umani – siamo condotti ad accogliere nuove forme di vita ecclesiale. In tale percorso il primato spetta all’amore e al perdono di Dio, dai quali dobbiamo lasciarci toccare per poter a nostra volta perdonare ed essere al servizio di questo mondo, amato dal Signore.

Non c’è altra strada da percorrere se veramente vogliamo uscire dal “lazzaretto” colmo di feriti nel quale – direttamente o indirettamente – ci ritroviamo. Forse vi scorgiamo anche volti conosciuti.

Nella preghiera – stando alla presenza del Signore, dei fratelli e delle sorelle – manifestiamo innanzitutto la nostra vergogna, il nostro dispiacere e formuliamo sinceramente la richiesta di perdono.

Se i conflitti, la violenza delle parole o i giudizi taglienti dividono, il perdono unisce.