Le aziende a partecipazione pubblica. Il cancro dell’economia di cui si fa finta di cercare la cura

L’Istat fa sapere che per il 2013 le aziende il cui capitale ha una presenza di soldi pubblici, sono quasi 11 mila, con quasi 1 milione di persone che vi lavorano. La fotografia di un’economia di capitalismo deteriore (non unico nel mondo cosiddetto libero e occidentale) che, nella versione italica, significa anche potere, clientelismo e doppi pagamenti da parte dei contribuenti. Potere. Si tratta di società di capitali (essenzialmente spa e srl), dove più della metà è controllata oltre il 50% da capitale pubblico. Societa’ dedite a servizi fondamentali per la pubblica amministrazione, servizi che sono sottoposti a controllo dalle stesse amministrazioni e, quindi, dove controllore e controllati combaciano… con risvolti politicamente melodrammatici ed economicamente disastrosi per i soldi di tutti i contribuenti. Clientelismo. Quasi un milione di addetti significa che, tra famiglie dirette, indotto e altrettante famiglie, come minimo sono coinvolte cinque milioni di persone. Che votano e fanno votare anche secondo il metodo più diffuso nel nostro Stivale: quelli ci danno lavoro, non importa cosa, ma lavoro…. Doppi pagamenti. Il contribuente medio paga il doppio: oltre ai servizi che vengono erogati da queste società (rifiuti, acqua, etc), anche i capitali di rischio e il ripianamento dei frequenti disavanzi. Disavanzi che in una logica e pratica capitalistica porterebbero le amministrazioni a cambiare queste società di gestione, ma che nella configurazione di cui stiamo trattando, tra clientelismo e potere, le società -anche le più canaglie- rimangono sempre lì. Questa è la nostra lettura di quanto ha fotografato il nostro Istituto di Statistica. A cui aggiungiamo che governi passati e attuali continuano a chiamare questo contesto come privatizzazione, dando a questa parola una sorta di senso magico che tutto dovrebbe risolvere. Ma che, nella sostanza e nei numeri, ha solo modificato nel nome il vecchio monopolio, lasciando intatta pratica, costume e politica. Tutto questo a danno dei cittadini e dei contribuenti: servizi mediamente scadenti e vessatori, gestiti comunque in un contesto di monopolio (capitale o non capitale, nei risultati e nella gestione non cambia nulla), senza lo stimolo imprenditoriale della concorrenza e la competizione per offrire una migliore qualita’ e quindi motivare e legittimare le proprie prestazioni. Siamo eccessivi nel bollare come finzione e presa peri fondelli il processo economico italiano verso privatizzazione e liberalizzazione? E come inaffidabili tutti quelli che, con nomi di fantasia più o meno nuovi, vengono chiamati capitani coraggiosi… che poi sono sempre gli stessi, anche quando alle spalle hanno fallimenti clamorosi (management storico Alitalia docet)?

Vincenzo Donvito, presidente Aduc