Il nome di uno dei due imprenditori, C.D., 45enne torinese, era già apparso durante i processi “Minotauro”, “San Giorgio” ed “Esilio”, anche se in nessuno di essi erano emersi a suo carico elementi sufficienti a richiederne il rinvio a giudizio. Ed è proprio da tali elementi che sono partite le indagini dei Finanzieri del Nucleo Polizia Tributaria Torino, i quali, correlandoli e dando loro una nuova chiave di lettura, vi hanno aggiunto le risultanze di un parallelo procedimento di prevenzione, conclusosi, nel frattempo, nei confronti di R.G., classe 1958, già condannato quale affiliato al “locale” di ’ndrangheta di Giaveno (TO). Le indagini, così, hanno consentito di pervenire all’individuazione dell’altro imprenditore indagato, N.E., 66enne di Rivoli (TO), e alla puntuale ricostruzione delle attività di riciclaggio e di reimpiego di denaro proveniente da reato, poste in essere dai due.
Gli indagati, soci di una S.r.l. di Avigliana (TO) attiva nel settore dell’edilizia, succedutisi nel tempo nella qualità di amministratori della società, l’hanno consapevolmente utilizzata per favorire le attività illecite del citato R.G., impiegando nell’impresa 450.000 euro in contanti provenienti dai delitti di usura ed estorsione commessi dall’associazione mafiosa.
Con riguardo al solo N.E., inoltre, è stato possibile ricostruire un’operazione di riciclaggio dal medesimo realizzata in relazione a 220.000 euro in contanti, sempre riconducibili alle attività del “locale” di ’ndrangheta di Giaveno, derivanti dalla gestione illecita delle macchinette videopoker, in maniera tale da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro. Singolari le modalità di consegna delle varie tranche del denaro contante: all’interno di insospettabili, quanto anonimi, sacchetti del pane. Con riferimento a C.D., invece, il quadro che emerge dalle attività investigative espletate dalle Fiamme Gialle torinesi è quello di un imprenditore che opera quale “terminale” economico di consorterie di ’ndrangheta attive in Piemonte, con reimpiego del denaro di provenienza illecita tutt’altro che occasionale e che si inserisce in una consolidata cornice di cointeressenze economiche tra il medesimo ed esponenti apicali dei diversi “locali” operanti nell’hinterland torinese. Pertanto, nelle scorse ore, i militari del G.I.C.O. di Torino hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di sequestro preventivo, ex art. 321 del codice di procedura penale, emessa, su richiesta della locale Procura della Repubblica, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, con riferimento a un rapporto di conto corrente ed a tre immobili (una villa e due appartamenti) ubicati nel comune di Alpignano (TO), per un valore complessivo di circa 700.000 euro. Trattandosi di contestazione dei reati previsti dagli articoli 648-bis (riciclaggio) e 648-ter (reimpiego di denaro di provenienza illecita) del codice penale, aggravati ai sensi dell’art. 7 della Legge n. 203/1991 (per aver agevolato l’associazione mafiosa denominata ’ndrangheta), il sequestro disposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino si pone come atto propedeutico alla confisca dei beni, ai sensi della disciplina sancita dal successivo art. 648-quater del codice penale, che prevede, in caso di condanna per uno dei due citati delitti, la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto. Infine, trattandosi di denaro contante reimpiegato in attività imprenditoriali e, dunque, difficilmente tracciabile, il Giudice ha applicato il secondo comma del richiamato art. 648-quater, ordinando il sequestro di denaro e beni per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato, stimato, appunto, in circa 700.000 euro.