Nella scuola pubblica italiana ci sarà sempre più spazio d’azione per le verifiche standardizzate dell’Invalsi, l’Istituto nazionale di valutazione, mentre con il tempo perderanno terreno gli Esami di Stato e il valore legale del titolo di studio. Ma invece di utilizzare i dati Invalsi come strumento di monitoraggio, come sarebbe logico, verranno utilizzati sempre più come indicatori utili alla mera valutazione degli allievi. Sono queste le indicazioni che giungono dai componenti parlamentari del tavolo di lavoro costituito dal Partito Democratico con le parti sociali per definire una delle più importanti tra le nove deleghe che Legge 107/2105 ha assegnato al Governo: quella sulla ‘Valutazione e certificazione delle competenze degli studenti’, comprendente anche la revisione degli Esami di Stato.
L’imposizione del concetto di merito, cavallo di battaglia della Buona Scuola approvata a luglio, già ribadita nel corso dei tavoli tematici svolti nelle scorse settimane al Miur, è stata dunque confermata: l’autonomia scolastica prevista dal D.P.R. 275/99 è stata di fatto tramutata, prima dall’Esecutivo e poi dalla maggioranza parlamentare, in una sorta di esaltazione delle verifiche uniformate e nozionistiche. Ma anche in un progressivo ridimensionamento degli Esami di Stato e del titolo di studio, a costo di infrangere i principi di uguaglianza, ragionevolezza e di efficienza che hanno governato la scuola pubblica italiana negli ultimi settanta anni.
Durante il tavolo di confronto, Anief, attraverso il suo delegato Andrea Messina, ha ribadito il no all’abolizione dell’Esame di Stato e al mantenimento dei commissari d’esame esterni, in numero maggiore agli interni. Come del valore legale del titolo di studio, che rimane una garanzia per dare la possibilità a tutti, anche ai giovani delle fasce sociali meno abbienti, di accedere alla cultura e alle professioni “alte”. Il sindacato, dopo aver spiegato i vantaggi nell’estendere la scuola dell’obbligo a 18 anni, ad iniziare dal sicuro ridimensionamento degli abbandoni e della dispersione scolastica, ha spiegato i motivi della sua opposizione all’allargamento a macchio d’olio delle prove Invalsi,
Il giovane sindacato ritiene che per certificare le competenze degli studenti, come indicato dalle più moderne teorie docimologiche, occorra infatti puntare prima di tutto sulla valutazione di spessore. La quale, si può ottenere solo attraverso una buona didattica, che a sua volta non può limitarsi ad un mero approccio disciplinare. Ma necessita dell’uso di tecniche e strategie d’insegnamento obbligatoriamente di tipo attivo, come i giochi di simulazione, le cooperative learning and serving, il peer education e il flipped classroom.
Anief ha quindi denunciato che investire sulle prove standardizzate, orientate alla mera valutazione di nozioni, non di contenuti di spessore, è una pratica che condurrà ad una scuola “piatta” e priva di spessore qualitativo. A proposito di novità da introdurre, il sindacato sarebbe invece favorevole a modificare la prima prova dell’Esame di Stato: il tradizionale tema andrebbe rivisto, dando maggiore spazio al saggio, da elaborare durante l’anno, e alla presentazione orale di un progetto trasversale a più materie. Sempre un contenuto multidisciplinare dovrebbe, infine, andare a costituire la novità maggiore dell’esame terza media.