L’Italia è terra di conquiste e oltre la metà delle spa quotate tricolori è in mani straniere: gli investitori esteri superano per la prima volta il 50% di possesso del made in Italy di piazza Affari. La capitalizzazione di Borsa delle imprese del nostro Paese è cresciuta in un anno di 36 miliardi arrivando a 545 miliardi complessivi, ma sale al 51%, con un’impennata di 52 miliardi, la fetta in mano ai colossi internazionali. Mentre il 43% di tutte le imprese (anche le non quotate) è controllato dalle famiglie. Da giugno 2014 a giugno 2015, il capitale delle spa quotate del nostro Paese è passato da 509,7 miliardi di euro a 545,6 miliardi in crescita di 35,8 miliardi (+7,0%). Sul listino tricolore cresce il peso degli azionisti “non italiani” che ora hanno partecipazioni di imprese quotate della Penisola pari a 278,7 miliardi, il 51,1% del totale. Predominante, ma in calo è il peso delle famiglie nel capitale delle aziende (quotate e non) con partecipazioni pari a 891,2 miliardi, in diminuzione di 28,4 miliardi; anche in questo comparto è più forte la presenza degli stranieri, passati dal 22 al 25% con un aumento delle quote di 80 miliardi. Questi i dati principali di un rapporto del Centro studi di Unimpresa, sull’andamento del valore delle aziende italiane nell’ultimo anno.
Secondo l’analisi di Unimpresa, basata su dati della Banca d’Italia, da giugno 2014 a giugno 2015, si è dunque assistito a un significativo scatto in avanti del valore delle spa presenti sui listini di piazza Affari, ma l’andamento del valore delle quote presenta delle differenze secondo la categoria di azionisti. Le partecipazioni di spa quotate in mano alle imprese italiane a giugno 2015 valevano 107,3 miliardi (il 19,7% del totale) in diminuzione di 21,9 miliardi (-17,0%) rispetto ai 129,2 miliardi di giugno 2014. Le banche continuano ad avere una presenza forte, di fatto invariata, nel capitale delle spa quotate con il 10,0%, pari a 54,6 miliardi in crescita di 1,9 miliardi (+3,7%). Lo Stato centrale ha nel suo portafoglio titoli azionari quotati italiani per 15,7 miliardi (il 2,9% del totale), in discesa di 1,1 miliardi (-6,8%) rispetto ai 16,8 miliardi di un anno prima. A piazza Affari i privati (famiglie) controllano quote pari a 68,3 miliardi (il 12,5% del totale), cresciute di 2,8 miliardi (+4,3%) rispetto ai 65,4 miliardi dell’anno precedente. Gli stranieri controllano il 51,1% di piazza Affari con partecipazioni pari a 278,7 miliardi in aumento di 52,6 miliardi rispetto ai 226,04 miliardi di giugno 2014: finora le quote estere non avevano mai superato la soglia del 50%. Complessivamente il valore delle società italiane quotate è salito in un anno di 35,8 miliardi (+7,0%) da 509,7 miliardi a 545,6 miliardi.
Presenza estera sempre più estesa, dunque. Sale, infatti, il peso degli stranieri anche se si estende l’analisi a tutto l’universo delle società per azioni. Le spa italiane, comprese le quotate, valgono (giugno 2015) 2.041,7 miliardi, in aumento di 55,1 miliardi (+2,8%) rispetto ai 1.986,5 miliardi di giugno 2014. La ripartizione delle quote è la seguente: le imprese hanno il 12,4% pari a 253,7 miliardi, in calo di 1,9 miliardi (-0,8%) sui 255,6 miliardi di un anno prima. Le banche hanno il 10,7% pari a 219,3 miliardi, in lieve aumento di 4,9 miliardi (+2,3%) rispetto a 214,4 miliardi dell’anno precedente. Scende anche la quota dello Stato centrale che ora ha il 5,0% di spa con 101,5 miliardi, in diminuzione di 1,1 miliardi (-1,1%) rispetto ai 102,2 miliardi precedenti. I privati detengono il 43,7% di società per azioni, dato che conferma il carattere familiare dell’imprenditoria italiana, con 891,2 miliardi in discesa, tuttavia, di 28,4 miliardi (-3,1%) rispetto ai 919,7 miliardi di giugno 2014. La quota di imprese italiane in mano agli stranieri, che corrisponde al 25,8% del totale, è aumentata di 80,09 miliardi (+17,9%) da 447,09 miliardi a 527,1 miliardi.
“Se da una parte va valutato positivamente l’aumento del valore delle imprese italiane, dall’altro bisogna guardare con attenzione la presenza degli stranieri e capire fino a che punto si tratta di investimenti utili allo sviluppo e dove finisce, invece, l’attività speculativa” commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. “Siamo preoccupati, la fortissima crisi che sta colpendo l’Italia più di altri paesi sta consegnando di fatto i pezzi pregiati della nostra economia a soggetti stranieri, si tratta di colossi finanziari che non sempre comprano con prospettive di lungo periodo o di investimento, ma spesso per fini speculativi” aggiunge Longobardi.