La differenza fra religione e fede

di Ettore Sentimentale

Il momento drammatico che si sta vivendo nel mondo (e particolarmente in Francia) a seguito della “mattanza” scatenata nella tarda serata del 13 novembre u.s., impone – dopo il naturale smarrimento – una riflessione sul rapporto fra religione e violenza. È il tema della lettera di questo mese, con il quale vorrei aprire un “confronto” incentrato non solo sulle “lastime” inerenti questi due fattori, quanto sulle proposte che presentino un orizzonte di soluzione del conflitto fra essi in atto. Premetto che nessuna religione contempla l’uccisione di altri esseri umani in nome di Dio. Chi lo fa, smentisce categoricamente la propria fede, anzi la strumentalizza a tal punto da nascondere il proprio inferno dietro la volontà di Dio. Poi, senza alcuna limitazione, riversa la propria infelicità sugli altri. Qui si impone immediatamente la differenza fra “religione” e “fede”, purtroppo spesso questi due àmbiti vengono confusi. La prima è un “fatto umano” che si costruisce storicamente e può includere in sé anche il “crollo”, mentre la fede poggia soprattutto su un dono che Dio gratuitamente fa ai “fedeli”. Ora, a mente più serena (sebbene la violenza terroristica continui ad avere rigurgiti di odio), ritengo utile cogliere alcune dinamiche proprie del rapporto sopra enunciato, cioè la relazione fra violenza e religione. Aggiungo che su tale argomento vi sono vari studiosi che declinano i vari aspetti a esso collegati. Così per esempio, Max Weber mette in risalto la prospettiva economica, mentre Rudolf Otto descrive quella dell’ambivalenza del sacro. Altri, come René Girard e Samuel Huntigton, si soffermano ad analizzare il confronto e lo scontro fra i due poli in oggetto. Di recente, l’attenzione degli specialisti (Hans Joas ed Emanuele Parsi) si è soffermata sulle dinamiche quasi speculari insite nel binomio degli elementi di questa breve riflessione, che vorrei emergessero come orizzonti significativi entro i quali collocare gli ultimi avvenimenti angosciosi. Sono ben cosciente che il percorso di riflessione che propongo potrebbe risultare un po’ ostico o sbrigativo soprattutto nella prima parte. In realtà mi sono proposto di “provocare” la reazione dei lettori attraverso una visione sintetica del problema che necessita – sicuramente – di ulteriore approfondimento. Una pista praticabile in tal senso potrebbe essere data dalla lettura di almeno un testo di uno degli autori citati (basta andare su internet e digitare i vari nomi su un motore di ricerca, quindi scegliere una delle opera più significative per assicurarsi una conoscenza diretta del tema in oggetto).

Il punto di partenza della mia riflessione è contrassegnato dall’approccio sociologico di entrambi gli aspetti (religione e violenza), percepiti e analizzati secondo la prospettiva dell’azione umana. Da qui scaturisce che i termini suddetti si àncorano, si snodano e si sviluppano sul terreno del quotidiano, vanno cioè contestualizzati all’interno dell’esperienza degli esseri umani, acquistando così il carattere di dinamiche che interpretano i vari fenomeni violenti che flagellano l’universo.

La prima chiave di lettura per cogliere in profondità il reciproco rapporto fra religione e violenza è scandita dall’affinità che intercorre fra le esperienze “esuberanti” e preoccupanti collegate al soprannaturale e quelle violenti. Fra queste due componenti, gli esperti di sociologia hanno colto spesso un abbraccio indissolubile e mortale. Perché? Se la religione – come spesso accade – ha la pretesa di “sconvolgere” l’ordinareità della vita quotidiana, direttamente (o almeno indirettamente) sospende le norme che garantiscono la civile convivenza pacifica. La storia è punteggiata, purtroppo, di simili straripamenti con i quali la “follia” religiosa ha tentato di sacralizzare la società: il Tantra fra gli Hippies; il barocco nelle chiese tedesche favorito dalle brillanti composizioni di Bach; l’ultima campagna ufficiale di odio religioso iniziata l’11.09.2001 e intesa come “guerra santa”…

Specularmente si possono leggere alcuni tratti delle guerre moderne che con la licenza di usare la violenza a secondo della necessità, diventano una forma contemporanea di estasi collettiva, che Durkeim collega alle religioni tribali.

Sfortunatamente, solo dopo alcune atrocità umane, vengono a galla i tranelli insiti nelle varie forme di violenze, abilmente camuffati – dagli irresponsabili affabulatori (politici, economisti, capi religiosi) – come la proiezione di speranze di redenzione…

C’è da notare pure il procedimento inverso contrassegnato dalla “sacralizzazione dei valori sociali”. Basti pensare alla “sacralizzazione” della nazione (degenerata poi in nazionalsocialismo, colonialismo, imperialismo…) o della razza umana (culminata nei campi di concentramento, nelle violenze contro le minoranze, nella discriminazione dei popoli non civilizzati…). A mio giudizio quest’ultimo processo ha causato i maggiori danni all’umanità, perché da esso derivano le aberrazioni che hanno tentato di cancellare la dignità umana.

Su questi sintetici risvolti “sociologici” per i cristiani si fondano gli aspetti specifici del rapporto fra violenza e religione. I seguaci di Cristo, infatti, non possono non rifarsi all’esperienza del Figlio dell’Uomo. Le dinamiche “compromissorie e affini” insite fra i due elementi in oggetto (religione e violenza), sono state ampiamente rifiutate da Gesù. Basterebbe leggere la pagina del discorso della montagna di Mt 5-7 per cogliere immediatamente come il Cristo ha aborrito ogni forma di violenza, annullando la minima pretesa di vendetta (codificata nella legge del taglione) contro i nemici. L’ordine in tal senso è chiaro e non ammette alcuna eccezione: “vi fu detto, ma io vi dico”. Tale formula fa chiaramente trasparire che la vera “norma di vita” trova la sorgente in Dio che “ha amato tanto il mondo da consegnare suo Figlio”. Attraverso questa iniziativa di libero e gratuito amore, viene anche desacralizzata la figura del sovrano terreno e dei vari ordinamenti politici (di ieri e di oggi). Penso sia corretto concludere questo passaggio dicendo che con il dono della sua vita e del suo insegnamento alternativo Gesù ha fatto piazza pulita di coloro che si presentavano come prolungamento violento della mano di Dio, ribadendo che nessun prepotente poteva presentarsi come “portavoce” del Dio tre volte santo.

A questo punto del discorso, vorrei lanciare un’ulteriore provocazione della quale bisogna “pesare” tutte le ricadute socio-religiose. L’intero mondo occidentale si indigna (giustamente) quando prende coscienza che i “terroristi islamici” (ma sarebbe più esatto dire “che strumentalizzano l’Islam”) invocano Dio a sostegno della loro causa, di pari passo lo stesso mondo deve anche domandarsi se quel che sta facendo sia giustificato davanti a Dio.

Trovo troppo sbrigativo parlare di “scontro di civiltà” o addirittura teorizzare che si è di fronte a “nuove guerre”. La prima ipotesi si porta dentro l’ambigua valenza delle culture (o religioni) viste come soggetti parzialmente capaci di agire a sé stanti. Qui si annida il rapporto conflittuale fra la religione e l’apparato statale (in occidente la storia fa risalire questo scontro/confronto al 1648, quando ufficialmente si pose fine alle guerre di religione con la pace di Westfalia). La seconda affermazione, invece, nega vistosamente tutti i conflitti (sempre “nuovi”) collegati soprattutto al colonialismo: guerre svoltesi nelle colonie e per le colonie e mai finite!

Un’ultima nota mi sembra necessaria prima di chiudere questa breve riflessione: riguarda il ruolo delle religioni nei contesti statali odierni. Se veramente esse vogliono costruire la pace duratura (quante volta promossa dai papi contemporanei!!!) non debbono lasciarsi strumentalizzare politicamente e devono categoricamente respingere la creazione della figura del “nemico” da eliminare, ma al contrario devono investire risorse ed energie per avviare una cultura di rispetto reciproco verso tutte le componenti sane delle varie società.

Infine mi auguro che siano numerosi coloro che intendono interagire nella complessa comprensione di tale problematica. I rispettivi contributi saranno pubblicati su questo sito.

Che il prossimo Avvento ci trovi vigilanti e attenti nell’essere “artigiani della pace”.