Troppo sottile il confine tra eutanasia e accanimento terapeutico, enorme la distanza che genera lo stesso confine sotto il profilo etico, morale, religioso, umano e giuridico. Diritto alla vita e diritto alla morte sono realmente le due facce della stessa medaglia? Ho dovuto pormi questa domanda in una situazione che mi ha coinvolto molto da vicino e che ancora oggi scuote la mia coscienza nei miei ricordi lucidi e nitidi che fanno male. Racconterò brevemente la mia esperienza, nella speranza che possa essere di conforto a quanti si trovano a vivere situazioni simili. Dire di no all’accanimento terapeutico, cioè rifiutare trattamenti sanitari gravosi per l’ammalato e sproporzionati rispetto ai risultati attendibili in termini di durata e qualità di vita, per mio padre, giovane ma non capace nella circostanza di intendere e volere, è stata una scelta difficile che ho dovuto condividere con il mio unico fratello. Lasciarlo andare con il nostro conforto e con quello religioso, lui era credente, ci è sembrata la scelta più giusta. La mia vita sarà accompagnata dall’immagine che azzera il monitor a linea piatta e che distende il volto di mio padre. Detto questo, non sono favorevole all’eutanasia intesa come programma lucido di morte; non si può fare un viaggio e cercare la clinica per morire; è contro la vita ed è una decisione maturata in una condizione emotiva pesante e di disperazione. Il suicidio assistito non mi sembra un diritto. Diritto è quello alla salute e all’assistenza che non deve superare i limiti dell’accanimento e della sperimentazione. Nei malati terminali, molte volte, è eutanasia naturale la volontà del paziente che smette di lottare e si lascia andare. la mente lascia andare il corpo. Difendere il diritto alla morte e invocare una legislazione a tutela mi sembra assolutamente rischioso, potenzialmente pericoloso, eticamente discutibile.
Giovanna Cardile