di ANDREA FILLORAMO
Mi chiedo, parafrasando Emanuele Kant, applicando cioè al clero messinese, quanto il filosofo del Criticismo, dice della ragione iIluministica: “quando finalmente i preti della diocesi di Messina, Lipari e S.Lucia del Mela raggiungeranno la maggiore età? Quando, cioè, finalmente smettendo di dividersi fra loro, istituiranno un tribunale in cui essi stessi saranno giudici e imputati per vedere quelle che sono le loro capacità ma in modo particolarequelli che sono i loro limiti?” La risposta a questa domanda sembrerebbe facile ma non è così. Essa è estremamente complessa in quanto, non solo per l’adagio latino che recita: “Nemo debet esse iudex in propria causa”, che tradotto significa “nessuno può essere giudice di se stesso”, che vale per tutti, preti e non preti; ma anche perché, allo stato attuale, i preti messinesi tutti, ma in modo particolare quelli più vicini al cuore del vescovo emerito, per quel che è avvenuto recentemente nella loro diocesi, sono in uno stato di agitazione e di confusione tale da non essere in grado di capire alcunchè. Essi, quindi, vescovo e preti, non sanno dove la storia li condurrà e per questo sono disperati, Altro che riconoscimento dei loro limiti. Ma, cerchiamo di non divagare e facciamo riferimento immediato alle questioni clericali messinesi, delle quali interpelliamo figurativamente i protagonisti. Il primo a essere chiamato in causa ovviamente è il vescovo La Piana. Sicuramente egli dirà ancora una volta d’essersi dimesso per motivi di salute, d’essersi sempre occupato e preoccupato dei suoi preti, d’aver agito sempre secondo giustizia perequativa e distributiva e tali principi affermerà che l’ha sempre e con scrupolo applicati fino alla vigilia delle sue dimissioni, quando ha spostato, con piena coerenza del suo modus agendi, ben trenta preti da una parrocchia all’altra. Questo era un suo diritto. Altro che atteggiamento mafioso, come scrive qualcuno! Dirà, inoltre, di aver ricevuto a malincuore una ricca eredità ma d’averla trasferita alla diocesi. Sosterrà con forza che col donatore dell’eredità c’era un rapporto amichevole ma “santo”, “pastorale” fatto di Padre Nostro e di Ave Maria, recitati assieme anche in tarda ora. Sosterrà ancora d’aver gestito bene la diocesi e che non ci sono buchi nelle finanze diocesane. Imporrà poi ancora ai giornalisti, di non far circolare la voce che il Papa, convocandolo, gli ha dato l’aut-aut. Mancavano i motivi della rimozione. Intanto, mentre fa queste considerazioni, con sommo dolore, prende atto che dal 24 settembre 2015, non è più l’arcivescovo e l’archimandrita di Messina, Lipari e S.Lucia del Mela. Andiamo ai preti del cosiddetto “cerchio magico”. Poveri “ominicchi” e “quaquaracquà”! Essi ancora si asciugano le lagrime per aver perso un padre e un protettore, del quale si rifiutano adesso di parlare, per non essere coinvolti in situazioni delle quali al massimo credono si possa anche mormorare ma che non si devono assolutamente conoscere. E’ questa la tesi dell’ex Vicario generale durante la Conferenza Stampa, quando all’improvviso è apparso dal fondo della sala e con piglio ha detto: “non si aprano altri files che non siano quelli dei motivi di salute”. Questi preti non diranno mai d’essere stati i leccapiedi personali e istituzionali. Data l’alta competenza dell’uso degli strumenti del “lecchinaggio”, essi si predispongono, già da adesso, all’esercizio di tale professione riservata a loro, quando ci sarà l’insediamento del nuovo arcivescovo. Conservano con cura, pertanto, gli emblemi del potere concesso “per grazia ricevuta”. Nell’insediamento del nuovo presule si pavoneggeranno, anche per farsi notare, vestiti con talari rosse e con mozzette tutte rosse, Non sanno, però, quei poveretti, che il colore rosso ha un doppio simbolismo, uno positivo l’altro negativo. Se per la chiesa il rosso indica la disponibilità a versare il sangue per la difesa della fede cattolica e simboleggia anche l’amore celeste, la passione per Cristo; nell’antico Egitto aveva valenze prevalentemente negative essendo legato a Seth, crudele uccisore di Osiride, che aveva occhi e capelli rossi. In Occidente, inoltre, è spesso il diavolo a essere rappresentato con i colori rosso e nero. D’altro canto il rosso è anche il colore delle prostitute e questo ne rappresenta il suo simbolismo più terreno, legato all’amore carnale, e in effetti nell’Apocalisse, la grande prostituta è ammantata di porpora e di scarlatto. Ma perché questa mancanza grave di lealtà di una categoria di persone il cui linguaggio dovrebbe essere quello del sì-sì, no-no? La risposta è la seguente: Essi si sentono persone sacre e per questo intoccabili. A tal proposito, in un suo bellissimo testo, Gregory Bateson fa l’elogio del sacro, che identifica con il silenzio, la riservatezza, il rispetto per quelle zone della vita dove, riprendendo un verso di Alexander Pope, “gli angeli esitano a posare il piede e dove gli stolti si precipitano vociferanti”. Una bella lezione che vale più di un’accesa e ipocrita difesa fatta di bugie.