di Ernesto Morici
Prima a Roma e successivamente in tutti i distretti si rinnova la cerimonia dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, da tutti formalmente seguita e da molti sostanzialmente ignorata.
Osservatori privilegiati, presidenti di corti, procuratori generali, presidenti dei consigli degli ordini degli avvocati rassegneranno conclusioni amare sul funzionamento della macchina giudiziaria, prospetteranno soluzioni, ma saranno ascoltati e poi, in gran parte, ignorati.
Il Csm e il Ministero della Giustizia interverranno nelle diverse sedi con relazioni uguali in tutta Italia. Il Csm celebrerà l’autonomia e l’indipendenza della Magistratura. Il ministero della Giustizia racconterà di una produzione normativa importante per il superamento delle difficoltà notorie.
Forse, ma non è certo, i mass media si occuperanno dell’evento per due-tre giorni, poi calerà il silenzio.
Bisogna provare a cambiare.
Uno degli ostacoli al cambiamento è costituito soprattutto dal prospettare contemporaneamente diversi temi: intercettazioni, custodia cautelare, reati bagattellari, prescrizione, e poi ancora nel civile ruolo avvocati, informatizzazione, lunghezza processi, riti diversi, e poi ancora nel campo ordinamentale soppressioni sedi giudiziarie, separazione delle carriere, responsabilità civile dei magistrati etc. etc.
Se consideriamo problemi i temi così posti potremmo amaramente concludere che nessuno è stato risolto in modo soddisfacente.
Per cambiare proverò ad affrontare un solo tema, e per quanto possibile senza incursioni in altri campi, utilizzando un linguaggio non tecnico per rispetto di tutti coloro che vorranno leggermi.
Proverò a parlare della prescrizione.
Tutti possono essere indotti ormai a pensare che la prescrizione sia una specie di assoluzione.
Si può essere assolti per non aver commesso il fatto, perché il fatto non sussiste, perché il fatto non costituisce reato, e perché come dicono alcuni commentatori dei processi è prescritto.
Pochi spiegano che la prescrizione in effetti non è un’assoluzione nel merito, pochi dicono che il giudice per dichiarare la prescrizione deve escludere che in modo lampante emerga la non colpevolezza dell’imputato, nessuno ricorda che la prescrizione (come l’amnistia) è rinunciabile dall’imputato pronto a farsi processare nel merito; e la rinunciabilità dovrebbe costituire quasi un dovere morale per tutti coloro che occupano posizione di rilievo pubblico.
Detto questo proverò a spiegare cosa dovrebbe essere e cosa dovrebbe regolare la prescrizione.
La prescrizione dovrebbe servire a impedire che si possa essere giudicati e condannati quando ormai è passato troppo tempo dalla data in cui si sono commessi i fatti, quando ormai la memoria degli stessi fatti è sbiadita, quando la condanna raggiungerebbe una persona ormai diversa da quella che ha commesso il fatto, quando le stesse persone offese potrebbero non avere più interesse.
E, in effetti, una volta era così. Il legislatore aveva dettato termini più lunghi per reati gravi, più brevi per le contravvenzioni e il sistema processuale consentiva di limitare le declaratorie di prescrizione.
Oggi il sistema non ha più un suo equilibrio, le sentenze di prescrizione sono ricorrenti e soprattutto l’istituto stesso costituisce un regalo utile solo a portatori di interessi negativi, un danno enorme per le persone offese e per il paese Italia condannato per le lentezze processuali.
Se si considera che la produttività dei magistrati e funzionari italiani è tra le più alte in Europa (solo per restare nei paesi con ordinamenti più vicini al nostro) si può concludere che la soluzione va ricercata altrove.
Ed anche a voler assegnare ai magistrati una quota di responsabilità, questa per quanto detto prima dovrebbe essere marginale.
Né può pensarsi che le responsabilità siano degli avvocati.
Sicuramente per loro può dirsi che sfruttano una possibilità ulteriore per “salvare il proprio cliente”, ma ciò non deve apparire scorretto e -nella misura in cui la legge lo consente- essi fanno bene a perseguire l’obiettivo prescrizione. E comunque anche questi possono considerarsi numeri marginali proprio per i dati sulla produttività nazionale che di riflesso non può non riguardare anche l’Avvocatura.
Una prima conclusione mi pare di poter azzardare.
Bisogna incidere proprio sulla prescrizione, modificare l’istituto.
Certo bisogna chiedersi se ciò sia necessario e in che misura.
Se fosse in gioco la salvezza o meno di singoli individui, non importa se numerosi o meno, potremmo essere poco preoccupati e anche indulgenti.
Qui però è in gioco il sistema democratico del Paese, la tenuta del consorzio civile.
Se corruzioni, concussioni, rapine in danno dei risparmiatori, violenze di genere e maltrattamenti in famiglia vengono in gran parte coperte dal manto grigio della prescrizione salta l’adesione a un sistema di valori comune da parte dei cittadini e si possono aprire scenari inquietanti.
Siamo tutti potenzialmente d’accordo: la corruzione è un fatto negativo, un reato.
E certamente tanti e diversi sono i modi per combattere la corruzione, ultimo forse ma non meno necessario quello giudiziario
Però molti legittimamente restano perplessi se poi la prescrizione ‘copre’ tutto.
C’è il rischio che l’impunità raggiunta attraverso la via della prescrizione allontani, sempre di più, la società civile dal suo legislatore, specie quando le sentenze di prescrizione sono direttamente riconducibili al mondo della politica.
E bisogna dirlo con chiarezza: le riforme che pensano di incidere allungando i termini o aggravando le pene, oltre che inutili, si rilevano dannose esse stesse perché rafforzano il convincimento che si voglia mantenere il sistema processuale in una condizione di non funzionalità.
Trovare soluzioni importanti in tema di prescrizione significa anche affrontare in modo più tranquillizzante altri problemi.
Proverò ad indicare una soluzione.
Il tempo della prescrizione deve certamente coincidere con il tempo dell’oblio e dunque si può concordare per una declaratoria quando trascorre molto tempo dalla cognizione del fatto senza che sia intervenuto il giudizio. E attenzione non dalla data del fatto, ma dalla data della sua conoscenza: diversamente tutti i comportamenti umani nei quali le condotte dei colpevoli e delle vittime almeno in una fase sono convergenti per celarsi alla società godrebbero di un vantaggio ingiusto, e qui ancora una volta i fatti riconducibili al fenomeno della corruzione sono quelli più facilmente evocabili.
Si può concordare anche sul fatto che i termini decorrano anche durante la fase delle indagini per l’accertamento dei fatti e l’individuazione dei responsabili. In queste fasi è il pubblico ministero, che è parte processuale, ad avere più di altri la possibilità di incidere sui tempi e dunque bisogna evitare che si possa pensare a strumentalizzazioni per mantenere l’indagato in una situazione di soggezione per tempi spropositati.
Ma con la chiusura della fase delle indagini la prescrizione a mio avviso non ha più ragione d’essere.
Con l’inizio del processo, l’imputazione è cristallizzata, con eccezioni non rilevanti in modo decisivo, e soprattutto l’imputato ha la possibilità, difendendosi nel processo e non dal processo, di richiedere al pubblico ministero di provare le tesi accusatorie di fronte al giudice che, in quanto terzo, non potrà essere considerato portatore di interessi tendenti ad allungare i tempi del processo.
Non sto qui ad elencare tutti i passaggi processuali che oggi appesantiscono il processo e che non essendo più lo scorrere del tempo un fatto “salvifico” verrebbero meno.
Tutti avrebbero interesse a una sollecita definizione e anche i patteggiamenti avrebbero impulsi ulteriori.
Lo stesso imputato potrebbe avere interesse alla velocizzazione dei tempi in primo grado e nei successivi e comunque non avrebbe benefici da lungaggini processuali.
Dunque, a mio avviso, con l’inizio del processo di primo grado, la prescrizione non avrebbe più ragione d’essere.
Si possono certamente provare e trovare altre soluzioni importanti, e prevedere che la nuova disciplina valga solo per i fatti commessi in data successiva alla promulgazione della nuova legge.
E’ necessario però che il ministro della Giustizia, ministro di un governo dichiaratamente riformatore, si faccia promotore di forti iniziative.
Promuovere riforme costituzionali dello spessore di quelle in essere, e non intervenire sulla macchina giudiziaria in modo efficace, significa anzitutto favorire indirettamente e quindi alimentare, per quanto detto, la corruzione oggi più che mai il vero nemico della società civile e onesta.
Disertare su queste riforme è omissione grave per i danni che si continuano a provocare nel sistema e nel paese Italia.
Ernesto Morici, socio del Circolo Libertà e Giustizia di Messina, è stato giudice anti-’ndrangheta