Finanziamenti editoria. Grazie ai soldi del ‘nuovo’ canone Rai, si finanziano anche i ‘nemici’

Il fantasma di attraente cioccolato che si aggirava nelle stanze dell’Erario, ha preso forma: è diventato, in prossimità della Pasqua cattolica, un uovo. Di quelli in cui -però- si sa già qual’è la sorpresa che c’è dentro. Stiamo parlando del disegno di legge che rivede i criteri di finanziamenti pubblici destinati al settore editoriale, inserendovi anche i proventi dell’imposta/canone Rai. Per ora l’uovo e’ stato preparato alla Camera, poi passera’ al Senato e, per certe cose -si sa- i tempi sono spediti e non e’ escluso che sia rispettato l’anniversario della resurrezione del Cristo. Dalle pagine di Aduc ne avevamo parlato in occasione di un’audizione alla commissione Cultura della Camera, lo scorso 26 gennaio, del direttore della Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali) che aveva espresso parere positivo sul Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione e le deleghe al governo per la ridefinizione del sostegno pubblico all’editoria (piu’ soldi nostri per i loro associati); ed aveva chiesto che una quota delle maggiori entrate che si dovessero verificare dal pagamento del canone Rai in bolletta elettrica sarebbero dovute andare all’editoria, cioe’ anche alla carta stampata, nell’ottica del pluralismo dell’informazione.
Ora il disegno di legge e’ stato approvato! Tra le varie fonti dei fondi per finanziare il tutto, e’ prevista una quota, sino a un massimo di cento milioni, delle eventuali maggiori entrate versate per il canone tv (maggiori rispetto alla cifra fissata -1,7 miliardi all’anno per il periodo 2016-18- che il Governo ha previsto… lasciando un “buco” per il dopo).
Esclusi da questi benefici i giornali di partito e sindacali (quanti chiuderanno…), nonche’ quelli quotati in Borsa e quelli di carattere tecnico, aziendale e scientifico. L’aspetto piu’ interessante e sintomatico e’ quello dei beneficiari, incluse le testate online, che potranno continuare a campare anche se sono letti e seguiti dai loro “intimi”: imprese con prevalenza di capitale di cooperative; fondazioni o enti no-profit; giornali di minorane linguistiche o in italiano diffuse all’estero: giornali per nonvedenti e, -potevano mancare?- i giornali delle associazioni di consumatori iscritte in apposito elenco. Associazioni che proprio in questi giorni, in passato -e presumiamo anche in futuro- “tuonano” contro l’imposta/canone, alcune addirittura vaneggiando di impossibili class action per non pagarlo. Cosa c’e’ di meglio -nella logica e nel diritto- che farsi pagare per parlare male del tuo pagatore: si vuole che cosi’ sia per garantire quello che viene chiamato pluralismo… basta che sia fine a se stesso e non dia fastidio al manovratore.
Capito come funziona? E noi di Aduc, associazione no-profit basata sul volontariato, che editiamo le nostre newsletter da piu’ di venti anni, e che come sottotitolo al nostro logo abbiamo la dicitura “Informazione indipendente per aiutare utenti e consumatori ad aiutarsi”, che non prendiamo un centesimo dai soldi dello Stato ma solo dai cittadini che vogliono che si continui ad esistere… forse… non abbiamo capito nulla?

Vincenzo Donvito, presidente Aduc