"Un Paese misura il grado di sviluppo della propria democrazia dalle scuole e dalle carceri, quando le carceri saranno più scuole e le scuole meno carceri. La pena deve essere un diritto; se sia condanna deve poter essere condanna a capire e capirsi" (Giuseppe Ferraro, docente di Filosofia all’Università Federico II, Napoli).
In questi giorni leggendo i giornali mi hanno colpito alcune dichiarazioni di politici e uomini di Istituzioni rilasciate per l’inaugurazione del nuovo carcere di Rovigo, vissuta un po’ come una festa: “(…) con soddisfazione, ha esordito con un eloquente “ce l’abbiamo fatta.” (…) Ieri a Rovigo è stato il giorno della festa. (…) È stato un grande segnale di civiltà. Ma servono inasprimento e certezza delle pene: questo ci chiedono i cittadini. (Il Gazzettino, 1 Marzo 2016)
Io credo che ci sia poco da festeggiare per l’apertura di una nuova prigione, perché nel nostro Paese il carcere produce, nella stragrande maggioranza dei casi, nuova criminalità. Non lo dico solo io che sono un avanzo di galera, ma lo dice lo stesso Ministro della Giustizia: "Siamo un Paese che spende 3 miliardi di euro all’anno per l’esecuzione della pena, più di tutti gli altri in Europa e siamo il Paese con il più alto tasso di recidiva di tutta l’Europa.(…) Un carcere che accoglie delinquenti e restituisce delinquenti non garantisce sicurezza." (Il Gazzettino, 1 marzo 2016).
Sostanzialmente il Ministro della Giustizia conferma l’alta recidiva che esiste nelle carceri italiane: infatti, il 70% dei detenuti che finiscono la loro pena rientrano presto in carcere e le carceri minorili rappresentano, di fatto, l’anticamera di quelle per gli adulti.
Signor Ministro, credo che lei abbia ragione perché il carcere così com’è ti fa disimparare a vivere, ti fa odiare la vita e ti fa sentire innocente anche se non lo sei.
E credo anche che se qualcuno volesse cambiare il modo di ragionare è destinato a soffrire di più, se tenta di togliere la maschera da “cattivo” e mostrare la propria vulnerabilità come tutti gli uomini, rischia di rimanere schiacciato da un sistema che in realtà non mira a rieducare l’uomo. Forse per questo molti detenuti preferiscono non cambiare e fingersi sempre dei duri, per difendersi dalla sofferenza della detenzione e sopravvivere. Mi creda, in Italia la prigione è l’anti-vita, perché nella stragrande maggioranza dei casi qui da noi il carcere ti vuole solo sottomettere e distruggere. Non penso certo che quelli che stanno in carcere siano migliori di quelli fuori, forse però in molti casi non sono neppure peggiori, ma con il passare del tempo lo diventeranno se vengono trattati come rifiuti della società.
Signor Ministro, fra queste mura si hanno poche possibilità di scelta, perché spesso è "l’Assassino dei Sogni" (il carcere come lo chiamo io) che condiziona come, quando e cosa pensare. Purtroppo, va a finire che spesso si dimentica chi e cosa siamo, col rischio di diventare cosa fra le cose.
Signor Ministro, mi permetto di citare un brano della tesi di laurea di una volontaria, Anna Maria Buono:
"La mia esperienza di relazione di aiuto si svolge in questa struttura alternativa al carcere situata a Montecolombo, della Comunità Papa Giovanni XXIII. È una casa colonica, in mezzo al verde, abbastanza grande da ospitare una ventina di persone. Ha un grande cortile da cui si accede all’entrata principale, sulla quale spicca un grande cartello in cui è scritto "L’uomo non è il suo errore". (…) C’è un grande salone di soggiorno, una grande cucina, un laboratorio per il lavoro, e le camere con i letti a castello. Completa il tutto un orto, un pollaio, un cortile dove si passeggia, si gioca, si prepara il barbecue, una piccola palestra all’aperto. Qui non vi sono cancelli, sbarre, tutte le porte e finestre sono aperte, non vi sono guardie.”
Signor Ministro, dalle notizie di stampa il nuovo carcere di Rovigo è costato 30 milioni, ma non sarebbe stato meglio investire quel denaro in strutture alternative al carcere come questa appena citata?
Un sorriso fra le sbarre.
Carmelo Musumeci
Padova, marzo 2016