Italia maglia nera in Europa per impronta idrica pro capite – ovvero il volume totale di acqua dolce utilizzata in tutte le fasi di produzione, definendo questa come acqua “virtuale” o invisibile perché non contenuta direttamente nel prodotto – pari a 2.232 metri cubi di acqua dolce l’anno, preceduta solamente dagli Stati Uniti (con 2.483metri cubi di acqua) e seguita (a sorpresa) dalla Thailandia (2.223 metri cubi). L’impronta idrica globaleammonta a 7.452 miliardi di metri cubi di acqua dolce l’anno, pari a 1.243 metri cubi pro capite, ovvero più del doppio della portata annuale del fiume Mississipi. Per l’Italia, l’acqua “virtuale” contribuisce per l’89% del consumo di acqua giornaliero. Dati che devono far riflettere, soprattutto ora che siamo alla vigilia della Giornata Mondiale dell’Acqua (22 marzo).È quanto emerge nella seconda edizione di “Eating Planet. Cibo e sostenibilità: costruire il nostro futuro”,il libro delBarilla Center for Food&Nutrition (Fondazione BCFN).
E se, da un lato, mettiamo sempre più attenzione alle azioni della vita quotidiana, come chiudere il rubinetto dell’acqua mentre ci laviamo i denti, e la utilizziamosempre con maggiorparsimonia, dall’altro non ci rendiamo del tutto contodi quanta acqua “invisibile” si nasconda in quello che mangiamo ogni giorno e quanto potremmo impattare meno sull’ambiente e sul consumo delle risorsecon l’alimentazione. Ognuno di noi, infatti, utilizza ogni giorno 2 litri di acqua per bere a cui si somma il consumo d’acqua virtuale per l’alimentazione che varia dai 1500 ai 2600 litri per una dieta vegetariana rispetto ai 4000/ 5.400 di una dieta ricca di carne. Se l’intera popolazione mondiale adottasse la dieta occidentale con una forte presenza di carne, il consumo di acqua per la produzione di cibo aumenterebbe del 75%. Differentemente, si possono risparmiare 2 litri d’acqua al giorno pro capite adottando la Dieta Mediterranea.
“Complessivamente l’Italia è il secondo paese al mondo per impronta di uso idrico… e il cibo che noi mangiamo, in particolare, ha un’impronta idrica che dipende moltissimo dal tipo di produzione. Ad esempio, un hamburger di 150g consuma 2500 litri di acqua mentre un pomodoro circa 13 litri. La differenza nel caso dell’hamburger è il peso della produzione del foraggio per alimentare gli animali che ha un peso complessivo molto elevato. In uno scenario di riscaldamento globale (già siamo a +0.8°C rispetto all’inizio del secolo) l’acqua, soprattutto per l’Italia, è un bene prezioso. Il 60% delle risorse idriche italiane servono alla nostra agricoltura e gli scenari futuri di fine secolo ci portano a ridurre del 20-40% le risorse idriche disponibili. Quindi una maggiore attenzione all’uso dell’acqua è necessario, sia sulla scelta dei cibi a minore impatto idrico che nella gestione dei sistemi idrici italiani (in molti casi poco efficienti) che nei comportamenti e negli stili di vita anche quotidiani” sostiene Riccardo Valentini membro dell’Advisory Board di BCFN e Professore di Ecologia Forestale all’Università della Tuscia.
Infine, non bisogna dimenticare che il nostro pianeta dispone di 1,4 miliardi di chilometri cubi di acqua, ma solo lo 0,001% del totale è effettivamente disponibile per l’utilizzo dell’uomo. Tra agricoltura, industrie e famiglie è il settore agricolo a consumare più acqua, con il 70% del totale. L’industria ne consuma il 22%, il restate 8% è dedicato all’utilizzo domestico. E il peso dell’agricoltura è ancora più alto, poi, nei paesi a medio e basso reddito dove il consumo raggiunge il 95%, mentre in quelli sviluppati predomina il consumo per utilizzo industriale (59%). Insomma, l’impatto della produzione alimentare sull’uso di acqua è molto elevato e proprio per questo, se si vuole incidere positivamente e invertire la tendenza dello spreco delle risorse idriche non si può prescindere dal ricorrere a modelli alimentari effettivamente sostenibili, che facciano bene all’uomo ma anche all’ambiente.