Intervista a un prete di una certa età

di ANDREA FILLORAMO

Ci conosciamo da tantissimo tempo, ci stimiamo e ci vogliamo bene. Lo sai… ho faticato molto per questa intervista. Quando, molto tempo fa, te l’ho chiesta, la risposta è stata negativa, poi, lentamente e infine con decisione quasi improvvisa, mi hai autorizzato a farti qualunque domanda, ponendomi però una condizione, quella di non rivelare il tuo nome.
Sono, come tu sai e da quando ero in seminario sono stato sempre così, uno che non si espone facilmente. Non si tratta di timidezza o di paura di quello che gli altri possono dire di me ma solo di prudenza. Temo sempre di dire di più o di dire di meno. Tutto questo mi porta – almeno lo penso – a essere talvolta anche impacciato. Il fatto di non rivelare il mio nome, in parte nasce da questo aspetto del mio carattere, in parte invece dal bisogno di non aver guai, voglio vivere tranquillo, anche se so che la tranquillità non è mai concessa a un prete.

Suvvia! Dammi, però, un nome che possa garantire la trasparenza a questa intervista. Ritengo assurdo il fatto che ben 43 preti mi contattano e tutti si nascondono sotto l’ombrello dell’anonimato.

Ti ho parlato di me…degli altri 42 non so che dirti. Correggo: dovrebbero essere loro a darti i motivi, che, poi, probabilmente, anzi con certezza tu conosci. Se ben ricordo dei motivi del silenzio dei preti abbiamo parlato nell’estate scorsa passeggiando, assieme a … nell’incontro che abbiamo a Milazzo. Chiamami se vuoi S.N. che può significare anche: ”senza nome”.

Comincio con una domanda, che tu sicuramente ti aspetti: sei contento di essere prete?

Si, è vero, me l’aspettavo e quindi ho preparato anche la risposta.

Dimmi!

Ribalto la domanda e chiedo a te: tu sei contento di essere padre?

Si, sono contento.

Lo sai perché sei contento? Perché la paternità l’hai scelta ad una certa età, l’hai vissuta e la continui a scegliere facendo anche il nonno. Io non posso essere sempre contento, in quanto il sacerdozio non l’ho scelto io, né a 12 anni quando sono entrato in seminario e tu lo sai né a 24 quando sono stato ordinato. Per anni sono stato in seminario “infagottato” con un’educazione che, a certe condizioni imposte, mi portava al sacerdozio e nessuna altra scelta mi era concessa. Volutamente sono stato lasciato senza un titolo di studio. Le fobie inculcate erano e sono tante. Da prete ho cercato di vivere alla meno peggio, anche se i miei fedeli pensano che io sia il miglior prete che loro conoscono.

E adesso, come tu vivi il sacerdozio?

In parte già ho risposto: alla meno peggio. Col tempo ho acquisito l’abitudine a fare il prete, non potendo fare altro, fino ad arrivare alla convinzione di subire la “sindrome dell’ergastolano”, che si adatta e dalla sua condizione prende quanto può arrecare vantaggi sia psicologici, sia di altra natura, ritenendoli “gratificazioni” per l’impegno dimostrato a fare la volontà di Dio.

Mi sembra un’esagerazione quella di sentirsi un ergastolano

Forse è un’esagerazione, ma tu capisci cosa voglio dire: essere privato della libertà, non avere una famiglia, dei figli, rinunciare a tutto. Sì, lo faccio perché lo devo fare, pur nelle contraddizioni e nell’ipocrisia continua. Ma la sera, quando rimango solo, nel mio letto, come Cristo nell’orto degli ulivi mi viene da dire: “Padre, allontana da me questo calice”.

“La libertà…avere figli…essere padri…”. Non pensare e sicuramente non lo pensi, che la libertà che tu desideri sia di facile gestione e avere moglie è figli sia una “passeggiata”. Sicuramente, poi, chi ha avuto un’educazione carente o in cui era totalmente assente la formazione al matrimonio e alla genitorialità, non può facilmente “desiderare” una situazione matrimoniale soddisfacente.

Hai ragione ma quando mi incontro con dei genitori spesso mi commuovo.La consapevolezza di questi limiti, ai quali si aggiungono il dolore che avrei dato a mia madre e la mancanza di un titolo di studio mi hanno vietato di lasciare, come hanno fatto tanti altri, il sacerdozio.

Chiudo con una battuta: Se un prete, particolarmente di una certa età come la tua, non può dire: “desiderare matrimoniumbonum” almeno che abbia la possibilità di credere che “desiderare episcopatum optimum est”.

Mi fai ridere. Ma sai come vengono scelti i vescovi? Essi hanno avuto la stessa formazione e i limiti degli altri preti.

L’apertura del discorso sui vescovi mi porta ad ampliare lo spettro della mia intervista. Come è stato il tuo rapporto con i vescovi che si sono succeduti nella tua diocesi?

Devo dire: ottimi con quasi tuti i vescovi. Li ho sentiti sempre molto vicini e la loro vicinanza mi è giovata a restare fermo nel mio impegno di prete.

Hai detto quasi con tutti e quindi non con tutti.

Hai capito perfettamente. Mi riferisco all’ultimo vescovo che ha avuto la mia diocesi, di cui non faccio neppure il nome, che ha abbandonato la sua Chiesa ed è scappato via, non sappiamo se si è dimesso o è stato dimesso. Di lui si è detto molto ma non tutto. Le “ferite” che ha lasciato ancora sanguinano e sanguineranno chi sa per quanto tempo. La responsabilità di quanto è successo non è soltanto sua ma del Cardinale che lo ha fatto diventare prima vescovo di Mazzara del Vallo e poi l’ha fatto promuovere come arcivescovo e Archimandrita di Messina, Ancora in diocesi ci sono quelli che tu stesso hai chiamato i “leccapiedi”, preti da disprezzare, che cercano in tutti i modi di nascondere le magagne del loro vescovo, di cui loro stessi sono stati corresponsabili. Povera gente, sepolcri imbiancati, venditori nel tempio che, se Cristo tornasse, colpirebbe non con lacci e fruste ma kalashnikov di ultima generazione. Speriamo veramente, come tu hai scritto in un tuo articolo, che il nuovo arcivescovo si liberi di loro.

Se questo è uno sfogo ben venga, ma basta tornare al passato. Auguro a te e ai tuoi fedeli una Buona Pasqua