Con ricorso del 22 dicembre 2014, la Commissione Europea ha contestato allo Stato italiano l’inadempimento degli obblighi di cui alla Direttiva europea del 2004[1] relativa all’indennizzo delle vittime di reato; in particolare, la presunta violazione riguarderebbe l’assenza di un sistema generale di indennizzo per le vittime di qualsiasi tipo di reato intenzionale violento commesso all’interno del territorio italiano. Prima di procedere davanti alla Corte di Giustizia, la Commissione aveva, a diverse riprese, a partire dal giugno del 2011, insistito affinché l’Italia adeguasse la propria legislazione alla direttiva; nel luglio 2013, oltretutto, il Tribunale di Firenze aveva proposto una questione pregiudiziale proprio su questo tema, su cui la Corte di Giustizia UE non si era pronunciata per questioni di incompetenza[2].
Al ricorso presentato, le autorità italiane hanno opposto che la norma in questione lascerebbe in realtà un ampio margine di apprezzamento, ivi compreso quello di scegliere per quali fattispecie di reato prevedere l’indennizzo obbligatorio (sono numerose, infatti, le leggi dello Stato che già lo attribuiscono per taluni tipi di reati, come i delitti di terrorismo e associazione mafiosa).
Per questo le richieste della Commissione sono da interpretarsi, per l’Italia, come un’intrusione nelle sfere di competenza nazionali non autorizzata dai Trattati, che non prevedono competenze dirette dell’UE in materia penale; inoltre, l’ampio margine di apprezzamento si deduce dai lavori preparatori della Direttiva, durante i quali erano stati stralciati alcuni progetti iniziali che prevedevano delle norme più specifiche sulla portata dell’indennizzo e sui crimini coinvolti, proprio per evitare che le istituzioni europee interferissero negli ambiti di competenza degli Stati membri.
La Commissione ha rigettato questa interpretazione e ha replicato che comunque la questione non concerne tanto il diritto penale, quanto obbligazioni di natura civile, che pure trovano la loro fonte in una fattispecie di reato.
Nella giornata odierna, l’Avvocato Generale Yves Bot, di nazionalità francese, ha rassegnato le proprie conclusioni.
L’Avvocato Generale Bot afferma che le considerazioni delle autorità italiane non possono essere accolte. Deve tenersi in considerazione, innanzitutto, l’Art. 3 Paragrafo 2 del Trattato, che indica l’Unione europea come “spazio di libertà, sicurezza, e giustizia”. La questione dell’indennizzo per le vittime di reato è in particolare collegata al principio della “sicurezza”, che gli Stati membri hanno il dovere di garantire a tutti i cittadini UE all’interno dello spazio comune europeo.
Altri principii da preservare, e che si assumono come violati dall’Italia, sono la libera circolazione e la parità di trattamento. La Direttiva è, infatti, volta ad assicurare che ogni cittadino europeo possa circolare in un Paese membro diverso da quello di origine, rimanendo nelle condizioni di poter sempre chiedere, se vittima di reato intenzionale e violento all’interno del territorio di quel Paese, un indennizzo “equo e adeguato” a fronte dei danni patiti. Non ha poi senso, dal punto di vista della parità di trattamento, garantire una tutela risarcitoria per alcuni delitti violenti (ad esempio il terrorismo), e non per altri, che allo stesso modo possono avere un forte impatto negativo sul bene giuridico tutelato dell’integrità psico-fisica della persona, come, per esempio, la violenza sessuale.
Per quanto riguarda la natura dei reati in relazione ai quali si deve approntare un sistema di indennizzo alle vittime, si tratta di reati intenzionali (dolosi) e violenti. Né il concetto di “violenza” né il concetto di intenzionalità (dolo) fanno sorgere particolari questioni interpretative, trattandosi di definizioni sostanzialmente omogenee nei vari Stati membri.
Non può essere condiviso, infine, il timore delle autorità italiane per l’integrità delle competenze nazionali: in primo luogo, con l’adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva non deve essere modificato alcun reato esistente né debbono essere introdotti nuovi reati, sicché non viene in alcun modo sottratta ai singoli Stati la prerogativa di individuare autonomamente i comportamenti costituenti reato; inoltre, permane la competenza del singolo Stato sulla scelta dei criteri per quantificare l’indennizzo, purché nel rispetto dei principii di equità e adeguatezza e di parità di trattamento.
Per tutti questi motivi, l’Avvocato Generale conclude proponendo alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di dichiarare l’inadempimento dell’Italia rispetto agli obblighi europei, con conseguente condanna alle spese.