Gv 14, 23-29
Rispose Gesù (a Giuda, non l’Iscariota): "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi". Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
di Ettore Sentimentale
La pericope che la liturgia presenta alla nostra attenzione per la VI Dom. di Pasqua, è estrapolata dalla lunga sezione di Giovanni, unanimemente conosciuta come “Discorso di addio”. Si tratta dei capp. 13-17 nei quali l’evangelista ci presenta una sorta di lungo e articolato testamento di Gesù. Questi testi sono impregnati di una duplice atmosfera. Da un lato l’angoscia dei discepoli di perdere il Maestro e rimanere soli, dall’altro la consolante insistenza da parte di Gesù per rassicurare e preparare i discepoli alla sua imminente dipartita.
È per questo che, nel brano in esame, per ben cinque volte Gesù ribadisce ai suoi amici la certezza di un sostegno sicuro da parte dello Spirito Santo. L’azione di colui che “procede dal Padre per mezzo del Figlio” avrà una finalità ben precisa: consolare e sostenere i discepoli nella loro fedeltà al testamento di Gesù, che rimanda al suo programma di vita.
Lo stesso Dono, poco prima, viene definito “Spirito della verità” (Gv 14,17). Qui, invece, viene descritto come “Spirito Paraclito” (cioè “difensore”) che insegnerà ogni cosa e ricorderà tutto ciò che Gesù ha detto. In poche parole, possiamo affermare che lo Spirito sarà la memoria vivente di Gesù in mezzo alla comunità. Si profila così uno dei ruoli principali dello Spirito all’interno della comunità cristiana: quello di prolungare l’insegnamento dello stesso Gesù.
In questo àmbito, i teologi parlano di “evoluzione del dogma”, cioè l’approfondimento della rivelazione da parte della Chiesa, assistita dalla presenza dello “Spirito della verità”. Così, l’orizzonte comprensivo dei fedeli è senza confini e la loro consapevolezza di essere sostenuti dallo Spirito nella missione di annuncio del regno non può conoscere turbamento e pusillanimità.
L’opera appena descritta, si configura come “evangelizzazione” e – secondo il brano in oggetto – dovrebbe concentrarsi nell’annunciare con la parola e con la vita l’avvento della “pace”, dono lasciatoci da Gesù, alternativo ai canoni del mondo.
Davanti a simile “regalo”, i cristiani devono spendere la propria esistenza per non sciupare e far germogliare e crescere questo immenso dono, che diventa un balsamo fra le tante miserie della nostra società, a tal punto da sostenerci dinanzi al “turbamento e alla paura”, mali quotidiani che paralizzano la nostra vita spirituale.
Ma a ben scrutare in profondità, fra le pieghe della Chiesa, il turbamento si amplia se volessimo continuare a difendere l’autorità morale senza il supporto della verità, frutto della costante opera consolatrice dello Spirito.
Mi pare, per esempio, che fra molti cattolici serpeggi uno strisciante risentimento per l’accoglienza dei “lontani” da parte di papa Francesco il quale, consapevole che lo Spirito di libertà soffi oltre i confini e gli steccati innalzati dagli uomini, ha avviato un percorso di “vera comunione” con gli esclusi di un tempo. Un’opera di pace!
Oggi penso sia necessario un ulteriore impegno di conversione per accogliere con gioia lo stesso “Spirito di pace” (cioè di comunione) che animò la vita di Gesù e continua a vivificare quella dei suoi discepoli.