Permesso di soggiorno extra UE: nuove unioni civili e convivenze di fatto. Cosa cambia?

Con l’entrata in vigore delle nuove regole, gli stranieri ed i loro partner ci chiedono se e come poter usufruirne ai fini della regolarità del soggiorno sul nostro territorio. Occorre, tuttavia distinguere tra le singole situazioni di fatto e di diritto suggellate dalla nuova legge.

La parte straniera (o le parti straniere) di una unione civile.
Le coppie omosessuali che decidessero di unirsi secondo le nuove disposizioni di legge, potranno senz’altro usufruire della possibilità, equiparata a quella dei coniugi, di ottenere per il proprio partner straniero, il diritto al soggiorno per motivi familiari. Con i seguenti distinguo:
1. Per lo straniero già regolarmente presente sul nostro territorio (perché dotato, ad esempio, di permesso di soggiorno per lavoro o Permesso CE per Soggiornanti di Lungo Periodo), è prevista la possibilità di chiedere il ricongiungimento familiare col partner attraverso la procedura già prevista del nulla osta + visto per motivi di famiglia, ovvero, se in viaggio dal Paese straniero di provenienza del compagno, attraverso la richiesta di visto per familiare al seguito.
2. Per i cittadini italiani o comunitari, che abiano contratto unione civile con un partner straniero, si applicheranno, invece, le regole previste dalla legge 30/2007 in materia di circolazione e stabilimento dei cittadini comunitari e dei propri congiunti (questi ultimi anche non comunitari) nell’eurozona, applicativa della Direttiva 2004/38/CE, nonché le regole previste dal T.U. dell’Immigrazione, ed in particolare quelle previste dall’art. 19 comma 3, in materia di inespellibilità del coniuge (nel caso del partner unito in unione civile) convivente con cittadino italiano. In altre parole l’ingresso del partner è garantito, e ne è garantita anche la presenza, inibendone l’espulsione.

I conviventi di fatto
la legge non apporta alcunché, invece, per le coppie di fatto, siano esse etero od omosessuali, ed indipendentemente dal fatto che siano o meno vincolate da contratto di convivenza per i propri rapporti patrimoniali.
E ciò perché, a prescindere dal tempo della convivenza, della stabilità del legame, dell’intensità del vincolo affettivo, tali “unioni”, per quanto registrabili e registrate all’anagrafe, non consentono al nucleo familiare così formato, di godere degli effetti di cui alle normative su richiamate.
Infatti, la nuova legge, nella parte relativa alle convivenze di fatto, non effettua quel richiamo che prevede al comma 20 dell’art. 1, in materia di equiparazione al coniuge della parti unita in unione civile, a tutti (quasi tutti) gli effetti di legge. Mancando tale equiparazione, pertanto, non si può estendere ad essi la disciplina in materia di immigrazione e soggiorno.
Ciò vale anche in ambito Europeo. Nella direttiva europea su richiamata, e nella relativa legge di recepimento italiana, le regole di favore sull’ingresso e soggiorno delle parti unite in unioni o convivenze registrate (anche se si tratta di partner extracomunitario), si applicano solo se dette unioni o convivenze siano state celebrate in un Paese che le equipara giuridicamente al matrimonio.

La scelta del legislatore, pertanto, favorisce chi decide di sposarsi/unirsi in unione, rispetto a chi decide di non farlo. Ad oggi, pertanto, pur essendo le due situazioni sono meno difformi sotto altri profili (assistenza, doveri, diritti ecc…), rimangono assai distinte nei riflessi sulle questioni di immigrazione e soggiorno. Ripetiamolo: si tratta di una scelta. Così non era previsto, ad esempio, in altri progetti di legge mai approvati, quale la legge sui DICO, che nel 2007 prevedeva la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno per motivi familiari anche ai conviventi stabili.

Claudia Moretti, legale Aduc