Le azioni di enforcement dovute alla crisi economica, il miglioramento del grado di efficienza ed efficacia delle istituzioni pubbliche nel contrasto all’illegalità e alla corruzione, gli strumenti di prevenzione e di lotta al terrorismo stanno producendo un clima di maggiore percezione di vincoli ai comportamenti individuali. In una delle fasi di massima sfiducia verso le istituzioni, la minaccia del terrorismo ha acuito nei cittadini il senso di perdita dei diritti fondamentali. Il 53% degli italiani afferma di percepire una restrizione della propria libertà a causa della lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, contro una quota di poco superiore a un terzo che afferma di non avvertire tale restrizione. Questo clima potrebbe riverberarsi anche sulla fisiologia della propensione imprenditoriale che caratterizza uno dei fondamenti della società italiana.
Aleggia oggi anche la tendenza moralizzante a identificare alcuni comportamenti individuali come peccaminosi, con la facile traduzione nell’accezione di «penalmente rilevanti». Ma la «devianza» (rottura delle regole) è un indispensabile parametro della creatività, necessario per attivare processi di innovazione (disruption) e sviluppo. Da una recente indagine del Censis realizzata per il Rapporto 2016 Cotec-Chebanca sulla cultura dell’innovazione risulta che il 38,6% degli italiani individua nelle piccole aziende le vere protagoniste dell’innovazione. La percentuale è superiore a quella relativa alle università e ai centri di ricerca (35,6%) e a quella che riguarda le grandi imprese (21%). A conferma di una consapevolezza che i processi innovativi si innescano «dal basso» ci sono le affermazioni che indicano il ruolo che svolgono i cittadini e i consumatori attenti e attratti dalle novità (26,5%) e la società civile nelle sue migliori espressioni (23,3%). Mentre solo il 12,8% degli italiani riconosce ai governi e alle amministrazioni che promuovono e sostengono l’innovazione un ruolo da protagonista.
La maggiore attenzione rivolta negli ultimi anni ai temi della lotta alla corruzione, al contrasto dell’economia sommersa e dell’evasione fiscale, ai tempi della giustizia ha costruito una domanda più consapevole di legalità da parte dell’opinione pubblica, ma nello stesso tempo ha generato la percezione di poter disporre di spazi di manovra più angusti. La regolazione dall’alto e il primato della legalità, insieme al processo di adeguamento a standard per la riduzione dell’«area della devianza» dell’Italia, ha ottenuto in questi anni risultati non indifferenti. Tra il 2015 e il primo semestre del 2016 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha irrogato sanzioni per 433 milioni di euro a fronte di intese e cartelli, mentre per quanto riguarda la tutela dei consumatori e contro pratiche commerciali scorrette l’importo delle sanzioni ha superato i 70 milioni. Nel Documento di Stabilità 2016, presentato dal Governo in aprile, risulta che il contrasto all’evasione fiscale ha fruttato 14,9 miliardi di euro nel 2015, con un incremento del 4,9% rispetto all’anno precedente. Tra il 2010 e il 2015 si è registrato un maggiore introito di entrate tributarie per 78,5 miliardi, di cui 42 miliardi nel periodo 2013-2015.
«I vincoli alla libertà dei comportamenti» è l’argomento di cui si è parlato oggi al Censis, a partire da un testo elaborato nell’ambito dell’annuale appuntamento di riflessione di giugno «Un mese di sociale», giunto alla XXVIII edizione, dedicato quest’anno al tema «Ritrovare la via dello sviluppo secondo il modello italiano». Sono intervenuti il Presidente del Censis Giuseppe De Rita e il responsabile di ricerca Andrea Toma, Stefano Cingolani de Il Foglio, e Fabio Martini de La Stampa.