Anief ritiene giusto cambiare l’esame di maturità, come indicato dal Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, in occasione della prima prova scritta degli Esami di Stato partiti stamane con la prima prova scritta. Premesso che il sindacato ritiene che le novità da introdurre nel rinnovato esame di fine secondaria superiore non debbano comunque ledere il valore legale del titolo di studio e dello stesso esame di Stato, né mettere in discussione la presenza dei commissari esterni, il Ministro farebbe bene a prendere in considerazione una revisione della maturità a tutto tondo. Ad iniziare dalla prima prova scritta, per la quale è ora di ridimensionare, se non eliminare, il tradizionale tema. Al suo posto andrebbe introdotto un saggio interdisciplinare da elaborare durante l’intero ultimo anno scolastico.
L’ufficio studi dell’Anief ritiene che per certificare le competenze di un alunno occorra certamente adottare una buona valutazione, la quale si può ottenere solo attraverso una didattica all’altezza e moderna. Questa, tuttavia, non può limitarsi ad un solo approccio disciplinare, ma necessita dell’uso di didattiche cosiddette attive: dai giochi di simulazione al cooperative learning, dal peer educaton al flipped classroom. Senza entrare nei tecnicismi, la nuova maturità dovrebbe essere finalizzata ad una valutazione formativa che preveda delle verifiche in itinere, durante un percorso di studi che non si può limitare ad alcuni giorni: questo significa che si dovrebbe valutare sulla disciplina nel suo complesso, non più su un singolo argomento. L’attuale maturità, invece, si basa su una prassi che spesso non rende equa la valutazione del ragazzo, penalizzando quegli alunni più ferrati su un aspetto piuttosto che su un altro.
Al posto del tema, quindi, andrebbero poste delle prove “semi-strutturate”, che richiedano al maturando di formulare autonomamente la risposta, modellate in modo tale da consentirne la confrontabilità mediante vincoli che ne delineino comunque una traccia per la risposta: si tratta di prove formate da quesiti scritti, ognuno dei quali verrebbe a sua volta articolato in sotto-domande, su tematiche interdisciplinari ben definite, che richiedono risposte aperte, però tendenzialmente molto brevi e circoscritte. In questo modo, il docente della disciplina, impegnato nella valutazione della prova di maturità, andrebbe a verificare la pertinenza di parametri come la lunghezza, l’ordine gerarchico dei temi affrontati, i concetti espressi e il livello di generalizzazione.
La composizione delle domande “semi-strutturate” sarebbe focalizzata su una serie articolata di stimoli chiusi, ma anche di risposte aperte che rispettino dei vincoli tali da renderle confrontabili con criteri di correzione predeterminati. Un modello di questo genere produrrebbe una richiesta, all’allievo, più specifica, meno ambigua o fraintendibile: perché permetterebbe di rilevare conoscenze, competenze, abilità non rilevabili con altri generi di prove, come i saggi brevi, il riassunto, la riflessione parlata e lo stesso tema. Anche la valutazione finale sarebbe meno arbitraria.
Per quanto riguarda il colloquio con il maturando, sarebbe opportuno far presentare ad ognuno un progetto, anche questo multidisciplinare, sempre frutto di un percorso durato almeno per tutto l’ultimo anno scolastico. Lo stesso progetto dovrebbe essere introdotto all’esame di licenza media, dove sarebbe opportuno eliminare le fallimentari prove Invalsi: delle verifiche standardizzate, incentrate sull’obiettivo di verificare le nozioni e non contenuti, che tra l’altro costano alla collettività svariati milioni di euro. È ovvio che una loro introduzione anche all’esame di maturità, come paventato più volte dall’amministrazione, rappresenterebbe un grave errore.
“Le modifiche dell’esame di maturità – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – devono guardare principalmente ad un modello di verifica tendente alla non discrezionalità, ma nello stesso tempo non standardizzato, trattando gli alunni in modo indistinto e tutti allo stesso modo. Al Ministero dell’Istruzione, inoltre, ricordiamo che senza l’estensione della scuola dell’obbligo a 18 anni, qualsiasi tentativo di modernizzazione degli esami di fine ciclo è destinato ad avere dei risultati non eccellenti. La qualità del sistema passa non solo attraverso un miglioramento della didattica e della valutazione, ma anche attraverso l’abbattimento della dispersione scolastica”.