di ANDREA FILLORAMO
Don Benedetto, un oscuro prete isolano, recentemente, attraverso un suo intervento insulso, costruito con espressioni linguistiche non armonizzate sintatticamente, indici di grande confusione mentale e di mancanza di dimestichezza dell’uso delle categorie logiche e grammaticali, prendeva posizione, in questo giornale, in difesa di S.Ecc.za Mons. Calogero La Piana, con il quale – egli asseriva – aveva convissuto nel palazzo arcivescovile di Messina.
Chi ha seguito la triste storia dell’arcivescovo emerito, che si è conclusa con la sua “rimozione”, che con il passare del tempo si arricchisce sempre di più di particolari non certo gradevoli, si aspettava che la difesa dell’arcivescovo fosse presa da quanti sono stati da lui beneficiati fino alla vigilia del suo abbandono della diocesi peloritana, quando, cioè, il vescovo già dimissionario“ trasferiva” i “buoni e cattivi” (cosa inaudita!) per dare ai primi il premio “a futura memoria” e ai secondi l’ultima e sonora “legnata episcopale”.
I premiati dall’arcivescovo, infatti, chesicuramente sanno scrivere meglio di don Benedetto, non sarebbero incorsi nei suoi errori grammaticali e negli anacoluti, che neppure la mia nipotina Giada che ha frequentato la quarta elementare fa.
Ma non è così.
Essi non scrivono e preferiscono tacere; si rendono sempre più conto che il vento in diocesi è cambiato e hanno paura che vengano ad essere travolti dalla grande “marea” che proviene dal passato, che li può travolgere da un momento all’altro. In tal caso addio al loro sogno “carrieristico” che vorrebbero continuare anche con il nuovo arcivescovo che prima o dopo dovrà arrivare.
Non stiamo qui a citare tutto quello che scrive quel prete, che si professa ex salesiano e che – dice – di “conoscere benissimo” La Piana.
Sorvoliamo sull’incipit dell’articolo che suona così (horribiledictu ): “ Che Mons. La Piana Calogero abbia preso o creato un buco. Non ci credo neanche se lo vedessi, di persona”.
Mi sforzo di capire cosa vuol dire: “abbia preso o creato un buco”. Nondiscuto dei “buchi” ai quali in modo confuso si riferisce il prete.
Don benedetto scrive, ancora, di Mons. La Piana e dice che il vescovo non “aveva peli sulla lingua” e su questo nulla da dire; continua, poi, scrivendo che però temeva i “sacerdoti pivellini giovani, tra i quali si era creato un forte muro al punto da abbattere il vescovo che a loro dava fastidio”. Non si riesce a capire perché il muro deve abbattere il vescovo e non viceversa. Ma forse capovolgendo i termini riusciamo a comprendere il senso.
Riflettiamo sull’affermazione riguardanti i “pivellini giovani”. Per tanto tempo è stata fatta a La Piana l’accusa di scegliere come suoi più stretti collaboratori e di promuovere i preti giovani e di rottamare gli anziani.
Se è vero quanto don Benedetto scrive sul comportamento dei “pivellini giovani”, sicuramente questa scelta promozionale dell’arcivescovo si è rivelata totalmente fallimentare.
Cosa che a La Piana veniva sempre detta dai preti anziani.L’arcivescovo, pur avendo da salesiano conoscenza dei giovani non si rendeva conto che giovani e quindi anche i preti giovani, manifestano diverse fragilità pur restando aperti, disponibili e generosi. È vero che essi aspirano a rapporti autentici ma non trovandoli nella realtà, sperano di scoprirli dentro di sé. Un simile atteggiamento li predispone a ripiegarsi sulle proprie sensazioni e sull’individualismo, mettendo al proprio servizio i legami sociali e il senso dell’interesse generale.
Ad un certo punto don Benedetto, in difesa del suo vescovo,rivela che “un ex segretario con serenità spifferava continuamente le mosse e i ….. del vescovo ancor prima che queste avvenissero”. Accusa sicuramente molto grave nei confronti di quell’ignoto prete che La Piana ha scelto come suo segretario, ma anche nei confrontidel vescovo che non ha saputo scegliere il suo segretario.
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Don Benedetto scrive ancorache Mons. La Piana la sera andando al letto “ansimava” per il peso dell’episcopato che non riusciva a sostenere.
Don Benedetto, senza rendersi conto, segnala il dramma umano, di un uomo schiacciato dall’angoscia della propria inadeguatezza di fronte all’assunzione di un’enorme responsabilità, che nasceva dal suo essere vescovo di una istituzione diocesana che egli non riusciva a gestire e che, con il suo comportamento, con le sue decisioni, mettevafortemente in crisi.
Egli infatti, che avrebbe dovuto essere il capo, il pastore delle anime, si sottraeva ai propri compiti, essendo in preda a un malessere sconosciuto.
Per tanto tempo, quindi, l’arcivescovo di Messina ha celebrato una grottesca rappresentazione degli aspetti infantilizzanti e regressivi che coinvolgevano uomini e istituzione ecclesiastica, tanto da farsi evidenti in diversi momenti della vita diocesana, ma da tenere nascosti assieme ai molti errori di gestione.
Ciò fino alla famosa conferenza stampa dopo le sue dimissioni, quando all’improvviso dal fondo della sala il Vicario Generale, dopo aver minacciato i giornalisti di chiusura dei loro giornale, diede il suo diktat: “quei files non si devono aprire”. Allora pochi, anzi pochissimi, erano a conoscenza di quei files, oggi siamo in tanti a conoscerli, compreso probabilmente l’Amministratore Apostolico che è chiamato a dipanare la matassa.