Ciao GB, ciao Europa. Il primo vero, grande risultato della rivoluzione populista

L’Unione Europea non c’è più, almeno per come l’abbiamo conosciuta fino a oggi. Una buona notizia ed il primo risultato concreto per i molti che l’hanno percepita negli ultimi anni come l’Europa "delle banche", "dei poteri forti", "delle multinazionali", "delle elite", "dei burocrati", “del formaggio in polvere”, e così via. Eppure, in un mondo sempre più globalizzato, dove superpotenze statuali e soprattutto non statuali riescono a imporsi sulle democrazie dei singoli Paesi, la risposta più ragionevole sarebbe stata continuare il percorso verso l’unione piuttosto che isolarsi. Solo un soggetto sufficientemente robusto è in grado di difendere la propria sovranità e influire sul lento ma indispensabile processo di regolamentazione globale, oggi affidato quasi esclusivamente ai rapporti di forza (militare e soprattutto economica). Per non parlare di quella grande e maledetta storia del nostro continente, che fino all’avvio del progetto europeista settant’anni fa, aveva conosciuto continue guerre tra nazioni, facendo infine dell’Europa l’epicentro di due conflitti mondiali senza precedenti.
Ma alle prime vere difficoltà che hanno colpito l’Unione Europea, ancora incompiuta e quindi ancora inadeguata a farvi fronte, in tanti – anche tra coloro che fino a quel momento si dicevano europeisti – l’hanno abbandonata stizzosamente, invece di rafforzare il faticosissimo e inglorioso cammino verso un’unione sempre più stretta. Votando forze antieuropeiste e antisistema, dando loro l’irreversibile abbrivio, per rabbiosa protesta o persino con "buone intenzioni", la maggioranza degli europei (e forse anche degli statunitensi, pare di vedere) si è convinta che l’origine di tutti i mali sia il “Sistema”: la democrazia liberale (“votare non serve”), i partiti politici (“tutti corrotti”), le fragili organizzazioni internazionali, l’Unione Europea. Sono ritornati prepotenti gli stereotipi e le rivendicazioni nazionalistiche, pronunciate senza più alcun pudore. Chiunque votava partiti europeisti è stato tacciato di conservatorismo o addirittura complicità col “sistema”, nella insostenibile convinzione che sfasciare il presente per tornare al passato equivalga al progresso.
Un po’ ovunque, la rivoluzione antisistema sta conquistando i cuori e le menti dei popoli occidentali, e Brexit ne è il primo vero effetto. Probabilmente ne seguiranno molti altri, come ha entusiasticamente profetizzato il leader dell’Ukip e del Brexit Nigel Farage qualche giorno fa in un’intervista al Corriere della Sera: “Grillo e io distruggeremo la vecchia Unione Europea. Il 19 giugno i 5 Stelle eleggono il sindaco della capitale e cambiano l’Italia. Il 23 giugno la Gran Bretagna esce dall’Unione e cambia l’Europa. Avremo un effetto domino. Dopo di noi gli altri Paesi del Nord se ne andranno uno dopo l’altro. Per prima la Danimarca; poi l’Olanda, la Svezia, l’Austria. Questo referendum è l’evento più importante dal 1957: l’Ue sta per crollare. Disintegrata in tanti pezzi”. L’Europa disintegrata in tanti pezzi meglio dell’Unione Europea? Ora, volenti o nolenti, potremo tutti cominciare a verificarlo sul campo. Con la speranza che non sia ormai troppo tardi per tornare indietro se, come credo, questa "nuova" Europa si rivelerà infinitamente peggiore di quella appena abbattuta.

Pietro Yates Moretti, vicepresidente Aduc