La scuola pubblica italiana è salvaguardata solo dai buoni propositi, perché continuano a compiersi tagli a trecentosessanta gradi: a certificarlo è la Corte di Conti, attraverso la Relazione 2016 sul costo del lavoro pubblico. Da un’analisi settoriale del documento, risulta che in sei anni, tra il 2008 e il 2014, il personale docente di ruolo è sceso di 9 punti percentuali, i dirigenti scolastici sono stati ridotti di oltre il 30 per cento, come il numero delle scuole, si è risparmiato sugli automatismi stipendiali bloccando gli scatti di anzianità (poi recuperati solo attraverso la vergognosa sottrazione dei fondi destinati al miglioramento dell’offerta formativa), si è congelato il rinnovo contrattuale e sull’adeguamento stipendiale anche al solo costo della vita.
La cattiva prassi del risparmio ad oltranza sull’istruzione pubblica, è stata confermata negli anni più recenti, visto che tra il 2013 e il 2014 le retribuzioni lorde dei lavoratori della scuola si sono ridotte in media dello 0,8 per cento. A cominciare dalla retribuzione media accessoria del personale a tempo indeterminato: quella dei dirigenti si è assottigliata del 6,5 per cento, mentre quella dei docenti del 7,5 per cento. In generale, per la Corte dei Conti, nel 2014 un insegnante ha guadagnato in media 30.699 euro lordi; un dirigente scolastico 62.890 euro. Basta dire, per comprendere la pochezza degli stipendi annui di chi opera nella scuola, che un dirigente di seconda fascia dell’Università ha percepito, nello stesso anno, 94.455 euro; un dirigente delle Regioni 93.450 euro; un dirigente ministeriale di prima fascia ben 178.301 euro.
Il risultato di queste operazioni incrociate è che “nel periodo 2008-2014 – si legge a pag. 63 del documento redatto dalla Corte dei Conti – la spesa per retribuzioni lorde del personale della scuola diminuisce di ben 16 punti percentuali (da 33,5 miliardi a 28,2). Si tratta, come più volte osservato dalla Corte, di un calo strutturale imputabile alla razionalizzazione dell’organizzazione scolastica che ha comportato un diverso dimensionamento del rapporto alunni-docenti attraverso il raggruppamento delle classi e degli istituti scolastici con una conseguente diminuzione del numero dei docenti e dei dirigenti scolastici”. Dopo il dimensionamento degli istituti, con una scuola su tre venuta meno a seguito della politica del “taglione” della coppia Tremonti-Gelmini, è così arrivato pure quello del personale e del trattamento economico nei suoi riguardi.
“Il rapporto tra il trattamento economico medio dei dirigenti di II fascia e quello del restante personale – sostiene la Corte dei Conti – si colloca in un range ricompreso tra 1/2 nella scuola (nel senso cioè che in media un dirigente scolastico guadagna il doppio di un docente con una anzianità media di servizio) e 1/3,5 presso gli enti pubblici non economici dove in media i dirigenti percepiscono compensi tre volte e mezzo superiori a quelli del restante personale”. Se si guarda agli stipendi di amministrativi, tecnici e ausiliari, si colgono cifre che rasentano la soglia di povertà: “la retribuzione complessiva più bassa è quella del personale ATA della scuola (22.000 euro), caratterizzato da un trattamento economico crescente in relazione all’anzianità di servizio e da una maggior concentrazione di personale nelle qualifiche meno elevate”, si legge ancora nel rapporto annuale.
È quindi sempre più chiaro che i governi che si sono succeduti tra il 2008 e i sei anni successivi, hanno prestato il fianco alle pressioni ricevute dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. A Viale XX Settembre, evidentemente, sanno bene che nella Scuola è concentrato quasi un dipendente pubblico su tre (il 31,9%), mentre gli altri sono ben distanziati: Sanità (20,4% di lavoratori statali) e Regioni ed Enti locali – contratto nazionale (14,5%) e via discorrendo.
È anche bene sapere che, se si eccettua l’immissione in ruolo straordinaria di circa 47.000 nuovi docenti “in relazione alla creazione dell’organico dell’autonomia scolastica”, realizzata con la Buona Scuola del Governo Renzi approvata a metà luglio 2015, non ha di fatto sanato i tagli e le limitazioni di organico determinate nei sei anni precedenti. Basta vedere cosa è accaduto con il personale Ata, al quale dal 2010 in poi sono stati cancellati quasi 50mila posti: ora, l’attuale Esecutivo non ha saputo fare di meglio che mandare in fumo altri 2.020 posti, dopo aver bloccato le assunzioni per due anni, previsto il “potenziamento” solo per i docenti e privato amministrativi, tecnici e ausiliari di qualsiasi incentivo o bonus professionale.
Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario organizzativo Confedir, “il rapporto annuale della Corte dei Conti dà visione di come razionalizzare gli stipendi di chi opera nella scuola porta un sicuro ritorno risparmio per le casse dello Stato. Sulle spalle, però, di chi lavora, negando a questi dipendenti – spesso pluri-titolati, abilitati, laureati, specializzati – il diritto previsto dalla Costituzione del compenso equo, adeguato all’impegno profuso, e rispondente almeno all’inflazione. Invece, l’unica cosa che si è fatto negli ultimi mesi è stata quella di avviare una trattativa di rinnovo contrattuale mettendo sul piatto un trancio di pizza in più al mese”.
“I nostri governanti, probabilmente, non si rendono conto di cosa significa vivere nel 2016 con mille euro al mese, quale è lo stipendio di un collaboratore scolastico. Oppure l’umiliazione che deve subire un insegnante, dopo una vita di studi, a percepire 1.280 euro al mese per i primi dieci anni della sua carriera. E che dire dei dirigenti scolastici, che percepiscono meno della metà dei colleghi di altri comparti, pur avendo responsabilità decuplicate? Quando il Governo dicono che la scuola è al primo posto – conclude Pacifico – viene da chiedersi perché, poi, chi vi opera guadagna meno di tutti”.