I bus notturni ci regalano tante prigioni

La notizia dei bus notturni, che collegano il centro con la zona Nord della città, deve essere vista unicamente in senso positivo; non c’è critica che trovi fondamento. L’iniziativa potrebbe risultare vana, nel suo significato, se rimanesse isolata; la zona nord necessita di controlli notturni continui da parte delle autorità competenti. C’è un flusso importante di ragazzi, molti di loro minorenni, che si riversano nella zona dei lidi, delle discoteche e del divertimento. Niente di più bello per una città che, almeno in estate, sembra ancora poter offrire una buona qualità di vita! Non occorre partire per fare vacanza! Il divertimento però va controllato; controllata la condotta dei gestori dei locali del ballo e dello "sballo", controllata la condotta dei ragazzi per la sicurezza della loro incolumità. Gli interessi di pochi devono soccombere nell’interesse del sano divertimento di tutti. Interviste,testimonial, selfie, e altro non possono distogliere l’attenzione da una tematica cosi importante; la sicurezza! Il resto è spettacolo che può non risultare di assoluto gradimento.
Giovanna Cardile

Si può fuggire dalla realtà. Si può fuggire dalla messinesità da operetta. E si può fuggire mentalmente e idealmente dal carcere, attraverso il tratto di un disegno che risponde a una poesia, la illustra e la fa propria. Evadere, appunto. Oppure sognare di farlo. Epperò non si può cancellare quello che non c’è: la speranza. La notizia sparata a mille, quasi fosse il miracolo dei miracoli, dei bus notturni che collegano il centro di Messina con la zona Nord della città (perché dimenticare la periferia Sud?) mi provoca tanta indignazione, come giornalista, ma soprattutto come cittadino. L’iniziativa dell’amministrazione Accorinti dovrebbe essere una notizia da breve in cronaca, dovrebbe essere la normalità, non il miracolo, ma la folcloristica macchina propagandistica del Sistema la propina come l’evento epocale. La quadratura del cerchio che fa di Accorinti, il sindaco del Sistema. Di colpo, debiti, crisi finanziaria, raccolta dei rifiuti, servizi elargiti con il contagocce passano in secondo piano: abbiamo i bus navetta per la movida, che gran figata! Ma di che… Ridicolo. E poi basta una camminata per le vie della città che scopri discariche a cielo aperto, condizioni indegne per una comunità che si definisce civile. Non ci siamo sindaco. Non era questo che i messinesi si attendevano dalla sua rivoluzione dal basso. Messina è in prigione. Messina vive la politica da intercettazione. Messina non ha una classe dirigente. Le periferie ci consegnano dei luoghi chiusi alla civiltà dove topi, blatte, discariche la fanno da padrone mentre il sindaco propaganda il nulla. E con lui la corte dei ruffiani che non manca mai neppure sotto Accorinti. Le periferie sono lo scarto verso la fuga, la comunicazione indiretta fra due mondi chiusi e isolati come il popolo e il Comune, la prigionia fisica e quella mentale, il collegamento fra diverse solitudini che viaggiano parallelamente e che non si sono mai incontrate se non nello spazio d’una manifestazione elettorale, d’un evento sporadico, e alla fine d’un mandato politico: il viaggio nelle periferie è “una riflessione che IMG Press vi consegna con un’idea di fuga”. Le immagine scattate in un caldo pomeriggio domenicale sembrano speranze di detenuti del carcere. Riflettiamo, riflettete se questa è la città che meritiamo. Di certo le fotografie di graffiti, rifiuti, macerie hanno portato qualcosa di sé all’esterno. E questo incontro in differita finisce per rappresentare due modi diversi di fuggire che incidentalmente si sono incrociati nell’evasione domenicale. Sono due isolamenti che non si conoscono, che forse non si guarderanno mai in faccia ma che comunicano fra loro in uno spazio che non ha nulla di virtuale. No, non si può dire affatto che questo luogo di fuga sia virtuale: è lo spazio d’un progetto che ha tradito le attese ma è anche qualcosa in più, è lo spazio della realtà umana in cui siamo un po’ tutti prigionieri. Quanto sono prigionieri quelli che corrono dalla mattina alla sera e quelli che vorrebbero evadere dai propri pensieri, quelli rinchiusi in un carcere fisico e quelli che non riescono a fuggire dai loro recinti esistenziali? Quanto sono prigionieri quelli che tacciono e quelli che obbediscono a prescindere dai comandi ricevuti? Quanto sono alte le prigioni reali e quanto sono pesanti quelle mentali? Il mio viaggio nelle periferie non può certo rispondere a tutte queste domande ma si presta bene a ingarbugliare i pensieri di chi ogni tanto vuol mettersi in discussione. Perché se tutti siamo prigionieri prima o poi qualcuno tenta di evadere.

ROBERTO GUGLIOTTA