COME POSSIAMO VINCERE LA GUERRA CONTRO IL TERRORISMO JIHADISTA

Perfino i più ostinati pacifisti sono convinti che dopo i tanti attacchi, ormai siamo in guerra contro il terrorismo jihadista islamico. Che sia una guerra di religione, una “guerra a pezzi”, o per motivi economici, è pur sempre una guerra. Senza voler demonizzare tutti i musulmani, è chiaro anche che il problema riguarda soprattutto l’Islam. Anche se poi si sostiene che chi commette certe atrocità tradisce il vero islam. Comunque sia la maggior parte dei conflitti nel mondo ha a che fare con regimi o gruppi islamici, è soltanto una sfortunata coincidenza? Ovviamente e per fortuna, non si può affermare che tutti i musulmani sono fondamentalisti e terroristi. Una cosa è certa, negando la realtà non si riesce ad affrontare la questione in maniera efficace. La nostra cultura debolista non riesce a individuare il nemico.
E qui subentra la questione delle questioni:“Il problema principale di quel che resta della cristianità aggredita dal relativismo – scrive Marco Respinti – è l’incapacità di guardare diritto in faccia il proprio nemico per quello che è, di chiamarlo per nome”.
La nostra cultura debole e debolista, che non sa più cosa sia la schiena diritta e che soprattutto non ha più memoria dei padri, dei santi e dei martiri che ci hanno preceduto indicandoci la via, si trincera, si schermisce, si nasconde dietro un dito. Utilizziamo certe parole come “islamismo” o “jihadismo”, pensando che nel frattempo con i nostri distinguo,“i tagliagole ci faranno lo sconto; ma loro no, tra islam e islamismo non fanno differenza, anzi il secondo nemmeno sanno cosa sia perché tutto ciò che conoscono e professano è solamente il primo”. (M. Respinti, Conoscere l’Islam, così com’è e senza sconti”, 3.8.2016, LaNuovaBQ.it)
A questo proposito lo studioso milanese, saluta con gratitudine, l’iniziativa del Centro Studi Federico Peirone di Torino che, in collaborazione con le Paoline di Milano, che hanno lanciato una collana editoriale sull’Islam, proprio per conoscerlo meglio. Si tratta di una serie di volumetti monografici sintetici scritti da esperti che hanno lo scopo di informare“sugli aspetti decisivi della cultura musulmana senza cedere alle sin troppo facili sirene del pressapochismo urlato, ma nemmeno a quelle rarefazioni dell’analisi che per volere spiegare tutto finiscono per non spiegare proprio nulla”.
I primi due titoli della collana sono abbastanza puntuali e decisivi. Il primo, Corano. Identità e storia, lo firma don Augusto Negri, docente di Storia dell’islam nell’Università Pontificia Salesiana di Roma, nonché cofondatore e direttore del Centro Peirone. Il secondo, Jihad. Significato e attualità, lo si deve alla penna di Silvia Scaranari, doppia laurea in Lettere moderne a Torino e in Filosofia a Parma, l’altra cofondatrice del Centro Peirone.
Per quanto riguarda l’Islam e quindi la questione del Jihad, Respinti, puntualizza:“Il punto nodale, infatti, non è criminalizzare tutto l’islam ma nemmeno deresponsabilizzarlo completamente, immaginando che tutto quanto in esso è morte e violenza sia solo una “devianza” (magari opera, come ora va di moda dire, di “depressi” e “schizoidi”). Va cioè chiarito bene che se la lotta armata non esaurisce da sola il concetto di jihad, la “guerra santa” non ne è nemmeno una estremizzazione spuria, eretica e liminale (per quanto magari numericamente rilevante). Infatti per la prof. ssa Scaranari,“Se, infatti, il martirio-suicidio è ignoto all’islam fino al secolo XX, ciò non significa che chi lo pratica oggi con risultati devastati e destabilizzanti pure per lo stesso mondo musulmano sia solo un “compagno che sbaglia”, o addirittura un eterodosso. Insomma, se non cominceremo a renderci conto sul serio di ciò che la realtà musulmana è, continueremo a vivere in un film surreale, e in quel film magari anche a morirci”.(Ibidem)
Si possono considerare i jihadisti dei musulmani?
Potrebbe essere interessante un altro contributo che ho trovato sul sito Asianews.it di Paolo Nicelli, missionario PIME ed esperto di Islam. Nicelli dopo aver sostenuto che la condivisione e la preghiera fra cristiani e musulmani è la via per sconfiggere la violenza e il nichilismo delle frange fondamentaliste. Si pone alcune domande interessanti. Come questa:“Gli integralisti sono musulmani?”
E’ una domanda scomoda, si possono considerare i jihadisti dei credenti dell’islam, e se rappresentano i musulmani. Secondo Nicelli,“A modo loro lo sono; lo sono come peccatori. Cioè lo sono contro l’etica e il culto islamico, poiché tradiscono l’Islām. Si dicono musulmani, ma vanno contro i fondamenti della loro religione. Infatti, nella religione islamica è vietato uccidere, soprattutto i bambini, i religiosi; come è vietato distruggere i luoghi di culto. Eppure questi “credenti” lo fanno sistematicamente pensando di guadagnare il paradiso attraverso il massacro e quello che loro chiamano il “martirio”. Tra l’altro questi combattenti jihadisti,“hanno fatto una professione di fede islamica, credono nei precetti dell’Islām e leggono tutti i giorni il Corano e la Sunna”. (Paolo Nicelli, “Cristiani e musulmani in preghiera. Il futuro dell’Islam di fronte alla deriva jihadista”, 3.8.16, Asianews.it)
Quali sono le letture mortali di cui si nutrono i jihadisti?
A questo punto l’esperto di islam del Pime, si pone altre domande:“di quale lettura o interpretazione delle fonti islamiche essi si sono nutriti? Quale è la matrice violenta da cui deriva la loro ideologia?”
Nicelli dà questa risposta articolata, che vale la pena riportare integralmente: “Si tratta del già citato wahhabismo, cioè di quella corrente riformista e puritana dell’Islām che da più di due secoli fa ormai scuola nell’universo ǧihādista e ha ispirato prima i movimenti panislamici, poi quelli nazionalisti arabi con i loro dittatori, poi ancora il ǧihādismo di al-Qa’da e di Da’ish, nei loro distinguo ideologici e istituzionali. Tale ideologia vuole riportare l’Islām indietro di secoli, cioè alla sua origine e vuole adottare il modello della purezza dei pii antenati a fondamento dell’ideologia puritana e violenta ǧihādista. Essi mitizzano quel periodo storico delle origini dell’Islām al punto da renderlo un astratto totalmente a-storico, colorandolo della loro interpretazione delirante. È qui che gli ǧihādisti si pongono in antitesi all’etica islamica, compiendo il loro peccato religioso e intellettuale: essi reinterpretano la religione islamica attraverso le loro categorie a-storiche senza fare un’ermeneutica delle fonti e senza applicare un criterio storico critico al testo coranico e alla Sunna, per fare emergere il contenuto del precetto coranico, cioè il promuovere il bene ed evitare il male. Tutto viene letto dagli ǧihādisti in termini letterali e ridotto al solo precetto giuridico, svuotandolo della sua portata spirituale e anagogica, riducendo così il ǧihād (lotta contro il peccato e ogni struttura di peccato), alla sola forma della “guerra santa”, cioè alla “giustizia-violenza” contro coloro che non accettano la loro versione dell’Islām, accusati di essere i corruttori della religione”.

Domenico Bonvegna
domenico_bonvegna@libero.it