LA RESISTENZA ANTICOMUNISTA DELLA LITUANIA

Quante sono le pagine di Storia del Novecento sconosciute? Soprattutto quando gli aggressori sono comunisti. Potrei elencarne qualcuna “Katyn”, “L’Holodomor”, i gulag di “Kolyma”, o il racconto dei tanti gulag siberiani rappresentati bene anche attraverso disegni di Evfrosinija Kersnovskaja, nel suo libro, “Quanto vale un uomo”, ma anche la stessa guerra civile dei bolscevichi contro i bianchi, che ne è seguita subito dopo la cosiddetta rivoluzione d’Ottobre e via di questo passo. Certamente una storia praticamente sconosciuta, riguarda la resistenza anticomunista del popolo lituano all’occupazione sovietica che durò per un decennio anche dopo la fine della seconda guerra mondiale. Perché trattiamo questo tema? “Lo facciamo per una esigenza di giustizia e informazione e per rispondere al tanto decantato ‘dovere della memoria’”, lo scrive Giuseppe Brienza sul mensile cattolico, Il Timone. “Lituania: resistenza dimenticata”, Novembre 2014, Il Timone). E’ un dato di fatto, tutti i avvenimenti storici del secolo scorso che i progressisti o para-marxisti non vedono bene, per loro non esiste il “dovere della memoria”. Brienza per raccontare i fatti lituani presenta un libretto pubblicato da Il Cerchio di Rimini, di due studiosi lituani di orientamento liberale, Dalia Kuodyte e Rokas Tracevskis, “La guerra sconosciuta. La resistenza armata antisovietica in Lituania negli anni 1944-1953”. Grazie a questo libro, si può conoscere un dato incredibile: dall’invasione tedesca del 1941 alla fine della resistenza antisovietica, il paese Baltico ha perso per la sua opposizione armata al Comunismo più di un terzo della popolazione tra morti in guerra, fucilati e deportati. Alla fine si contano 1.240.000 lituani morti per la libertà e l’indipendenza, di cui solo un milione tra il 1944 e il 1949 uccisi dai sovietici comunisti.
In pratica in questo periodo i lituani sono stati vittima di entrambi i totalitarismi, nazionalsocialista e comunista, che hanno insanguinato il Novecento. Infatti nella prima occupazione sovietica, in un solo anno furono deportati in Siberia 40 mila lituani, arrivati i tedeschi, furono ben 100mila ad essere inviati al lavoro coatto nei lager di Germania.
La Lituania “spettava” ai sovietici, in applicazione di quel sciagurato “patto Molotov-Ribbentrop” del 23 agosto 1940, che in pratica secondo Ernst Nolte, dovrebbe essere chiamato, il “patto Stalin-Hitler”, i due carnefici, protagonisti della spartizione dell’Europa orientale dell’epoca. Il deputato federale lituano Antanas Racas racconta come l’occupazione nazista e quella comunista hanno epurato i lituani “indesiderati”. “Un numero incalcolabile di cattolici fu martirizzato in queste circostanze. Tra la notte del 14 e il 15 giugno i russi ammassarono circa 35mila uomini, donne e bambini in vagone bestiame e li inviarono ai campi di concentramento in Siberia”. Praticamente il numero di lituani deportati da Stalin furono intorno alle 600mila. A questo punto i lituani per sfuggire alla “sovietizzazione”, per affermare la loro libertà e indipendenza si diedero alla macchia. “Quello lituano fu un vero esercito partigiano, forte di oltre centomila uomini, chiamati ‘Misko Broliai’ (“Fratelli del Bosco”) tra cui molte donne”. Per oltre dieci anni, “questi patrioti tennero in scacco 300mila soldati sovietici affiancati da 40 mila agenti dell’Nkvd, inquadrati come un vero esercito regolare, i partigiani lituani poterono contare sulla geografia di un Paese costituito in gran parte da foreste, resistendo con atti di guerriglia e sabotaggio sporadici fino al 1956”. Fino alla caduta del Muro di Berlino, nessuno sapeva niente, l’opera efficiente della dezinformatzija sovietica, il cui apparato spionistico non ebbe rivali al mondo, riuscì a tenere nascosto il fenomeno della resistenza del popolo lituano. Non potevano permettersi di far vacillare il mito dell’URSS di ‘grande Patria socialista’, mentre c’era un popolo intero che lottava per sottrarsi all’impero sovietico.
L’epopea della resistenza del popolo lituano e dei suoi valori partigiani, si è conosciuta soltanto dopo l’indipendenza raggiunta nel 1990, quando si sono potuto aprire gli archivi. A questo proposito esiste un “Museo della Resistenza Anticomunista”, istituito dalle autorità lituane. E’ interessante la dichiarazione del prof. Feliksas Palubinskas, dal 1996 al 2000 vice-presidente del parlamento lituano, in occasione del decimo anniversario della caduta del Muro di Berlino. Il politico lituano ha reso pubblicamente onore a quella “Chiesa cattolica che ci ha fornito le basi fondamentali, è stata la testata d’angolo per la nostra politica ed ha offerto il proprio contributo per la ricerca ed il mantenimento della libertà”.
Ritornando alle motivazioni iniziali sul perchè occorre conoscere e studiare queste resistenze popolari all’ideologia totalitaria comunista, Brienza in conclusione del suo intervento lo spiega bene. Perchè rappresentano “una contraddizione formidabile della teoria progressista della ‘guerra partigiana rivoluzionaria’”. Pertanto, “la drammatica opposizione armata di tutto un popolo al marxismo in Lituania, invece, con la sua strenua difesa della tradizione, anche religiosa, della nazione, costituisce oggi un patrimonio prezioso per la riconquista, non solo da parte dei lituani, ma dell’intera società civile europea, delle radici di un continente dalla storia spesso dimenticata, ma per molti aspetti gloriosa e cristianamente ispirata”.
Per completare l’argomento Lituania sarebbe interessante anche conoscere la continuazione della resistenza nell’era Krusciov, Breznev e perfino Gorbacev alla dominazione sovietica di Mosca. Il popolo lituano ha continuato la resistenza a livello spirituale come viene ben raccontata in un volumetto che ho letto nel 1978, “Lituania. Terra di fede, terra delle croci”, di Andrè Martin, pubblicato dalle edizioni Paoline (1977). Appuntavo nella prima pagina, io ancor giovane studioso, a proposito del popolo lituano:”I lituani sono un popolo che senza superbia sono fieri di professare integralmente tutta la Verità Cattolica! Anche se in Occidente non si prende atto della loro grande testimonianza di fede”.
Il testo di Martin inizia con il tragico gesto di Romas Kalanta, che imitando il giovane studente cecoslovacco Jan Palach, si diede fuoco a Kaunas nel 1972 per protestare contro la dominazione sovietica. Le autorità sovietiche tentarono di farlo passare per uno “squilibrato”.
Tuttavia il sacrificio di Kalanta fece constatare al popolo lituano l’indifferenza finta o voluta degli strumenti di informazione occidentali. “La grande paura dei bempensanti favoriva una propaganda a senso unico”. Che importanza poteva avere tra i diplomatici europei, l’immolazione di Romas Kalanta o quella di Jan Palach? “La Lituania si sentì sola e capì finalmente che, nella famiglia delle nazioni poteva contare unicamente sulle proprie forze, soprattutto spirituali”. Una lotta straordinaria, da una parte 3 milioni di lituani contro un colosso di 250 milioni di sudditi, una lotta tra David e Golia.
In questo periodo nasce la “Cronaca della Chiesa cattolica lituana”, un samizadt dattiloscritto di diverse pagine dove si cerca di informare il mondo libero della resistenza passiva dei cattolici lituani.“Esperta da più di un secolo nell’arte della resistenza, la Lituania scivola come un’anguilla tra le mani dei persecutori, sull’esempio di quei ‘Fratelli della foresta’ […]”. Forse era la prima volta che il Cremlino incontrava una resistenza così implacabile nell’ambito del suo territorio “monolitico”. La Kronica si serviva del metodo applicato da tutti i dissidenti nell’Unione Sovietica, attraverso appelli,“bisognava mettere con le spalle al muro i responsabili delle persecuzioni religiose, interpellandoli direttamente”. E’ una lotta dura e lunga. Una lotta per la Verità, predicata dai tanti dissidenti, in particolare, dal grande Solzenicyn. Il fronte democratico lituano “si dichiara in favore di una Federazione degli Stati baltici, con i paesi fratelli della Lettonia e dell’Estonia, nell’Europa di domani”.
Il libro di Martin racconta la persecuzione del potere comunista nei confronti della “terra delle croci”, dove i professori venivano licenziati perchè cattolici come Andrius Druckus. Mentre la stragrande maggioranza delle chiese era adibita dalle autorità ad usi diversi. Praticamente, dopo aver assunto il potere gli organi sovietici hanno “liquidato” in Lituania quattrocentoquarantotto chiese e cappelle. I sacerdoti sono stati arrestati e processati solo perché preparano i fanciulli alla prima comunione, come padre Zdebskis. Per questo sacerdote, tutto il popolo recandosi al tribunale dichiarava: “Se avete arrestato il nostro parroco, allora metteteci tutti in prigione, perchè siamo noi che abbiamo condotto da lui i nostri figli affinché li esaminasse”.
Del resto la conquista della gioventù occupa nel programma di ateizzazione del “sistema” sovietico un posto non trascurabile, se non addirittura il primo. Oltre a Kalanta, merita ricordare la militante cattolica, Nijole Sadunaite, arrestata e più volte condannata per la difesa dei diritti dell’uomo. Rifiutando di essere difesa da avvocati, Sadunaite passa all’attacco e approfitta del breve tempo per denunciare pubblicamente i dirigenti comunisti: “Voi osate disprezzare le più sante convinzioni dell’uomo, nel momento più difficile della sua vita: l’ora della morte. Come banditi, voi spogliate moralmente migliaia di credenti. E’ questa dunque la vostra etica comunista?[…] Tutti mezzi vi sembrano buoni per ridurci allo stato di schiavi…Ma non cantate vittoria! Il Cristo ha detto: ‘Li conoscerete dalle loro opere’. Presto o tardi, sarete seppelliti nelle pattumiere della storia”. Veramente profetiche le parole dell’eroica e indomabile donna lituana. E poi ancora conclude:“Noi dobbiamo condannare il male con tutte le nostre forze, ma dobbiamo amare quelli che sono nell’errore. E questo si può imparare soltanto alla scuola di Gesù Cristo! Signore venga il tuo regno!”. Parole da sottoscrivere sempre per chi lotta per la verità e per Nostro Signore.

 
Domenico Bonvegna
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