Pensione APE è solo fumo negli occhi: un insegnante che anticipa l’uscita di 3 anni e mezzo dovrà restituire 400 euro al mese per vent’anni

Si concretizzano gli interventi in materia previdenziale contenuti nella Legge di Stabilità del 2017: da un’analisi del testo definitivo su cui la Commissione Bilancio della Camera sta procedendo all’esame della legge di bilancio, il disegno di legge n. 4127, prende consistenza il prestito oneroso da restituire in vent’anni, per lasciare l’occupazione fino a 43 mesi prima. Non ci sono buone nuove: se si escludono, infatti, i docenti della scuola dell’infanzia, collocati tra i lavoratori che svolgono attività usuranti (articolo 31), per gli altri la cifra richiesta è davvero esorbitante.

Secondo quanto comunicato nelle tabelle della presentazione degli interventi sulla previdenza in legge di bilancio, pubblicata sul sito del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, un pensionato con un assegno lordo di 1.615 euro, a fronte di una pensione certificata di 1.286 euro e un anticipo richiesto dell’85% a 1.093 euro, prenderebbe dopo tre anni 1.078 euro con un ”costo” del 4,7% per anno d’anticipo. Pertanto, il lavoratore che avrà beneficiato di 3 anni e 7 mesi di Ape, sarà chiamato a ridare mensilmente 270 euro lordi per vent’anni.

Dal momento che la rata per l’Ape volontaria potrà variare tra il 2% e il 5,5% per ogni anno di anticipo, a seconda della percentuale dell’assegno chiesta, la cifra che lo Stato si appresta a chiedere al lavoratore, vittima dell’assurdo innalzamento dei requisiti introdotti con la riforma pensionistica del Governo tecnico di Mario Monti, può essere ancora più alta: ad esempio, a un pensionato con un assegno lordo di 2.200 euro, una somma verosimile per chi è andato in pensione e ha svolto il ruolo di docente della scuola secondaria, che chiede di fruire di 3 anni e 7 mesi di anticipo rispetto alla soglia introdotta dalla riforma Fornero, si troverebbe a restituire per venti anni addirittura 430 euro mensili lordi.

Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario confederale Cisal, si tratta di una richiesta che va oltre ogni logica: “riteniamo che sia un diritto del pensionato percepire un assegno di quiescenza corrispondente ai contributi versati. Chiedere a un cittadino che ha lavorato una vita di privarsi di 300 o 400 euro di una pensione, già penalizzata dal nuovo modello di calcolo introdotto dalla riforma Fornero, rappresenta secondo noi solo una provocazione. Anziché riconoscere l’elevato rischio psico-fisico connesso allo svolgimento della funzione docente, senza alcuna distinzione di ordine e grado, affinché tutta la categoria degli insegnanti – ad altissimo rischio burnout – possa fruire delle agevolazioni pensionistiche spettanti a chi svolge un lavoro usurante, si è preferito mettere il solito fumo negli occhi”.

“Perché – continua il sindacalista Anief-Cisal – la stessa possibilità, sempre con la Legge di Stabilità, vuole essere data ai docenti della scuola dell’infanzia, collocando la loro professione tra le logoranti, prevedendo comunque l’esborso di una quota mensile da sottrarre all’assegno pensionistico: la soglia di reddito per accedere gratuitamente all’Ape ‘social’, infatti, è di soli 1.500 euro lordi: dovranno, quindi, pagare una differenza. Inoltre, per loro la soglia di contributi minimi versati è di 36 anni. Considerando il lungo periodo di precariato che si chiede ai docenti italiani, docenti dell’infanzia compresi, saranno molti quelli che non potranno accedere all’Ape social”.

Per Anief, si tratta dell’ennesima beffa a danno di chi forma i giovani cittadini italiani: un docente della Germania, lascia l’insegnamento dopo 24 anni di servizio e senza decurtazioni, percependo una pensione quasi doppia rispetto ai nostri. Invece, in Italia per più di quattro pensionati su dieci, l’assegno non arriva neppure a mille euro al mese.