di ANDREA FILLORAMO
I miei articoli sulla situazione della diocesi messinese, che mi hanno impegnato in questi ultimi due anni, avevano e hanno ancora la presunzione di contribuirea rendere la chiesa locale in cui io sono nato e in cui ho maturato le mie scelte di vita, più disponibile alle aperture di Papa Francesco che ci stupiscono sempre di più e alle quali, in questi ultimi tempi mi è sembrata refrattaria o non impegnata come dovrebbe. Non sto qui a ribadire di chi sia la responsabilità e la colpa. Ho svolto e continuo a svolgere questo mio servizioperché mi sento debitorenei confronti di una diocesi che, durante i miei anni giovanili mi ha accolto nel suo seminario, dove sono stato per ben 13 anni e in cui ho ricevuto quella formazione sicuramente discutibile – si rammenti che mi riferisco a molti anni addietro – ma efficace perché attraverso alcuni sui principi da me pienamente acquisiti,mi haaiutato a diventare quell’uomo che adesso io sono. Non ho, inoltre, dimenticato che nei dieci anni del mio ministerosvolto in quella città, pur avendo sempredimostrato disponibilità ed impegno, sono statosempre in attesa che nella Chiesa si realizzasse quella rivoluzione voluta dal Concilio. Purtroppo, però, allora la rivoluzione non c’è stata. Pertanto, io come tanti altri, abbiamo tratto le conseguenze. Solo oggi, quella rivoluzione tanto attesa allora, cominciamo a scorgerla nelle intenzioni di Papa Bergoglio, al di là degli ostacoli o delle avversioni di vescovi, preti e pseudo-teologi. Ho scritto molto del vescovo emerito di Messina, Lipari e Santa Lucia del Mela. E’ vero! Ma ogni volta che ho scritto di lui, non ho potuto fare a meno di fare mentalmente un parallelismo forse assurdo, maè stato questo un retro pensiero che mai mi ha abbandonato. Ho pensato, infatti, a quello che a mio parere è stato il grande arcivescovo dei miei tempi, al quale, a mio parere, ogni vescovo e ogni prete dovrebbe fare riferimento. Mi riferisco a Mons. Fasola, di cui da tempo si è aperto il processo di canonizzazione e nel quale non ho negato di dare la mia testimonianza. Sì, perché Fasola l’ho sentito sempre vicino a me, sia negli anni del mio ministero sia dopo, quando si è ritirato al Sacro Monte di Varallo, dove spesso, non essendo molto lontano dalla mia abitazione, su sua o su mia richiesta andavo a trovarlo. Ogni incontro con lui era un tonfo nella spiritualità, un “bagno salvifico”. Ogni sua parola penetrava nell’anima e lasciava un’eco profonda che ancora mi trafigge e non mi abbandona, che risuona sempre dentro di me con la sua solita preghiera: “Vergine Maria, madre di Gesù, fateci santi”. Certo che Messina e i suoi preti dovrebbero essere orgogliosi di avere avuto un arcivescovo del passato ma ancora ricordato da tanti,che speriamo verrà canonizzato dalla Chiesa, esempio di povertà, umiltà, assoluta paternità, disponibile sempre a chiedere scusa nel caso in cui si fosse reso conto di aver sbagliato. Io certamente sono fiero di averlo avuto come mio secondo padre. Ma di un altro vescovo io vorrei fare cenno. Si tratta di Mons. Francesco Sgalambro, vescovo emerito di Cefalù, morto recentemente. Con lui cui mi ero incontrato anche nel mese di giugno in quel dell’Annunziata per omaggiarlo dell’ultimo mio libro. Teologo eccellente, persona umilissima, sicuramente anche lui di santa vita. Ho saputo che recentemente Mons. Marra ha lanciato la proposta di una richiesta di canonizzazione anche di Sgalambro. Diciamo soltanto: “Ben venga…lo merita”. Queste poche note possono essere utili e ben auguranti per il nuovo arcivescovo di Messina, che, guardando al passato potrà trovare ispirazione da Fasola e al presente da un vescovo che lui certamente ha conosciuto, cioè da Mons. Sgalambro.