di ANDREA FILLORAMO
Il rapporto tra Chiesa e denaro e, quindi, fra preti e denaro è stato sempre un rapporto estremamente complicato ma l’immagine di un clero opulento non è assolutamente vera, anche se tanti scandali obbligano a una seria riflessione sulla trasparenza. Sono questi i temi sui quali più volte Papa Bergoglio si è soffermato e ha invitato alla sobrietà, al risparmio e a una gestione oculata delle finanze. La Chiesa italiana, in questi ultimi anni, si è avvalsa e si avvale dei fondi dell’8 per mille: un fiume di denaro che serve per diversi scopi, tra cui la «remunerazione» dei preti e dei parroci per il servizio che svolgono, alla quale è destinata la somma di circa 350 milioni di euro su più di un miliardo gestito dalla CEI, cioè dalla Conferenza Episcopale Italiana. Il meccanismo di distribuzione è basato su una specie di punteggio che, grosso modo, corrisponde all’anzianità. In media circa 1000 euro sono mensilmente destinati ai preti alle prime armi che spesso aiutano un parroco la cui remunerazione è di circa 1.200 mensili. Questa entrata viene integrata dai contributi volontari dei fedeli e con l’elargizione di somme che rappresentano la variabile della busta paga. Va sottolineato che lo stipendio cresce in base ad una sorta di tabella che stabilisce gli scatti di anzianità ed, in relazione ad essi, gli scatti al compenso riconosciuto. Se per caso un prete è anche insegnante di religione, l’Istituto versa solo la quota che manca a raggiungere il tetto stabilito dall’anzianità, mentre se supera la quota l’Istituto funziona come sostituto di imposta e il sacerdote dovrà versare la relativa somma maturata. La pensione, invece, viene corrisposta grazie al fondo del Clero istituito all’Inps. Si tratta di cifre modeste. Chi ha una pensione più che vantaggiosa (a carico dell’Italia) è, invece, l’Ordinario Militare. Al momento di lasciare l’incarico, a 65 anni, questo arcivescovo (vedi, per esempio l’arcivescovo emerito di Messina Marra) per legge viene equiparato ad un generale di corpo d’armata con il relativo vitalizio accordato ai militari di quel rango, che è di 14.000 euro mensili con una tredicesima di 27.000 euro. I vescovi hanno uno stipendio che si aggira intorno a 3000 euro mensili. Più in alto si collocano gli arcivescovi capi di dicastero o di pontifici Consigli, che ricevono emolumenti che oscillano dalle 3000 alle 5000 euro al mese. Davvero cospicuo lo stipendio cardinalizio che ammonta a circa 5000 euro mensili netti. Paradossalmente il Sommo Pontefice guadagna molto meno di coloro che lo eleggono, ovvero i cardinali. Ratzinger guadagnava 2.500 euro mensili più i diritti sui tanti volumi da lui scritti. Papa Francesco ha invece scelto di non fruire di alcuno stipendio fisso, in casi di necessità attinge direttamente all’Obolo di San Pietro (si tratta di un fondo dello Ior che raccoglie donazioni per sponsorizzare progetti benefici). Escludendo, quindi, gli alti gradi della gerarchia, il semplice prete ed il parroco, come facilmente si può osservare, percepiscono uno stipendio che coincide con quello di un operaio generico, che però, col suo stipendioha da mantenere la famiglia, pagare l’affitto, la luce, l’acqua, il gas, le bollette, sostenere le spese mediche e scolastiche dei figli e di quanto occorre in una casa e per una famiglia. Guai, poi, se perde il lavoro! Esso, infatti, a lui non è garantito mentre al prete e al parroco la garanzia di uno stipendio fisso mensile è sempre garantito. Nessuno pensi che si vuole abolire quello che è un diritto acquisito da tutti i preti, persino dal prete “novello” che,diventato prete a 24 anni, percepisce uno stipendio di circa 1000 euro mensili. Talestipendio, infatti, è impensabile per un suo coetaneo che non è prete, anche se è multi laureato e con uno o più dottorati di ricerca. Mi si permettadi fare un’ipotesi che è anche una provocazione: se quel giovane prete, (o qualunque prete di qualsiasi età anagrafica) volesse lasciare il ministero, cheavrebbe come conseguenza la perdita dello stipendio mensile, così come è nella prassi, chi glielo fa fare a rinunciare ad uno stipendio mensile e scegliere, in questi tempi che stiamo vivendo, di fare lo “straccione”? E’ possibile, perciò,che continuiad esercitare il ministero pur volendo rinunciarvi. Abbandoniamo l’ipotesi e con essa la provocazione e mi affido alla statistica: risulta con dati alla mano che negli ultimi anni nel Sud, dove si fa sentire in termini drammatici la carenza del lavoro, pochi preti hanno abbandonato il ministero, mentre al Nord, dove ancora un prete che lascia può trovare la sua collocazione nel modo del lavoro, cresce il numero degli ex. Non è difficile da questi dati, trarre delle conclusioni: “intelligenti pauca”. Traduco: “alla persona intelligente basta solo un accenno”.Mi preme fare ancora un’altra osservazione: in righe precedenti, allorché si fa riferimento allo stipendio mensile dei preti c’è scritto: “Questa entrata viene integrata dai contributi volontari dei fedeli, con l’elargizione di somme che rappresentano la variabile della busta paga”. Cerchiamo di essere molto chiari. Ci chiediamo innanzitutto: in che cosa consistono quelli che vengono ad essere chiamati “contributi volontari”? Essi sono le offerte dei fedeli, che dovrebbero essere delle donazioni spontanee collegabili all’amministrazione di alcuni sacramenti, ai matrimoni, ai funerali o ad altri servizi resi dal prete e dalle parrocchie, o di cui solo una minima parte dovrebbe andare al parroco, ma è proprio e sempre così? È lecito, in molti casi dubitare.Possiamo solo affermare che per tanti preti e parroci i contributi sono diventati vere “parcelle” imposte ai fedeli, inserite nella “lista spese”, con tanto di indicazione dei prezzi, mal viste da Papa Francesco e che causano il malcontento della gente, che “in ogni dove” si lamenta che il proprio parroco chiede sempre soldi, cosa molto odiosa, come dice il Belli, che condanna quei preti intraprendenti che rubavano i soldi in nome di Dio (La penale, 1832): “ Li preti, ggiàsse sa ffanno la caccia / a’ggni sorte de spesce de cuadrini. Moer mi’ curato ha mmessodu’ carlini / de murta a cchivvòddì ‘na parolaccia”. Traduco: “I preti, si sa, vanno a caccia di quattrini con ogni pretesto. Ora il mio parroco si è inventata una multa di due carlini a chi dice una parolaccia”. E’ proprio su queste offerte volontarie che si misura la “battaglia”, il “bellum omnium contra omnes”, mai ufficialmente dichiarato all’interno del presbiterio, che mette in discussione il concetto della perequazione e il “modus agendi” degli stessi vescovi all’atto della nomina e dei trasferimenti dei preti.Giovanni Crisostomo scriveva: "Il tuo e il mio, questa fredda parola: qui scoppia il contrasto, qui sorgono le inimicizie. Dove invece codesta distinzione non esiste, non si vedono sorgere né conflitti né rivolte. Di modo che la comunanza è nostro retaggio, più che la proprietà". Credo che nessuno può negare che i contributi volontari di una parrocchia, come quella di Taormina o di S.Caterina a Messina, si distanziano immensamente da quelli della parrocchia di Pellegrino in Monforte S.Giorgio e che il parroco di Taormina o di S.Caterina in Messina, siano da considerare dei parroci “ricchi” se paragonati a don Luigi Celona, da quasi 60 anni rilegato nella poverissima parrocchia di Pellegrino in Monforte S. Giorgio. Se tutti i preti delle “ricche” parrocchie fossero onesti, non ci spiegheremmo perché – dico alcuni ma penso a molti- di loro sono intestatari di diversi appartamenti, che assieme a cospicui titoli bancari, essi destinano ai nipoti. Un’altra osservazione occorrerebbe farla, accennando alle offerte per le messe generalmente fatte celebrare in suffragio di parenti defunti. La smettano alcuni preti di celebrare delle messe per tanti defunti allo scopo di “beccarsi” tante offerte, quanti sono i defunti menzionati. Ritengo, inoltre, che finalmente dovrebbe intervenire il legislatore ecclesiastico nell’abolire quei commi del Codice di Diritto Canonico, che fanno riferimento alle intenzioni delle Messe: non si celebrino più le messe in suffragio dei defunti, dato che durante la celebrazione eucaristica c’è il cosiddetto “memento per i fratelli defunti” durante il quale ogni partecipante alla messa può intenzionareil proprio o i propri parenti o amici defunti. Accadrà ciò? Ho i miei fondati dubbi, in quanto, i preti, aiutati dai teologi, potrebbero rintracciare delle ragioni cristologiche per mantenere lo “status quo”, come è avvenuto per giustificare l’obbligatorietà del celibato ecclesiastico, che è stata affermata non tanto per motivi spirituali, ma per impedire che i figli dei preti ereditassero le proprietà della Chiesa Cattolica. Concludendo: i preti e non solo loro sono invitati a seguire l’indicazione del loro Maestro, che spesso rischiano di dimenticare, che dovrebbe rappresentare un criterio di discernimento. Egli afferma che il vero nemico dell’uomo, non è né la sessualità né il potere, ma il denaro. Nel Discorso della Montagna, che è il suo discorso programmatico, Gesù afferma (Mt 6,24) che non si può servire a Dio e al denaro. E nel Vangelo di Luca – nel contesto del viaggio verso Gerusalemme, che rappresenta l’istruzione fondamentale per un autentico discepolo– ripete lo stesso insegnamento (Lc 16,13). Così Gesù ci aiuta a riconoscere quella realtà che – per come nel Vangelo se ne parla, per il suo nome “Mammona”, che identifica la personificazione di una sorta di “anti-Dio” – può schiavizzare e disumanizzare la nostra vita (cfr. 1Tm 6,6-10).