Dal Salmo 72
Vieni, Signore, re di giustizia e di pace.
O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.
Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E dòmini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.
Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.
Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole germogli il suo nome.
In lui siano benedette tutte le stirpi della terra
e tutte le genti lo dicano beato.
di Ettore Sentimentale
La selezione del salmo 72 (vv. 1-2.7-8. 12-13.17) proposta alla nostra riflessione in questa seconda domenica di Avvento descrive, sotto forma di preghiera augurale, il potere del re-messia per Israele. Il genere letterario è quindi tipicamente regale-messianico. L’autore di tale poema auspica che il re governi con “giustizia e rettitudine”. Per tale motivo supplica il Signore che dia al capo del popolo le caratteristiche necessarie per ben governare.
Dall’insieme delle letteratura veterotestamentaria, sembra che tale re sia stato incarnato da Salomone e in tale ipotesi il componimento risalirebbe al periodo pre-esilico. In questa scia si innesta anche la suggestiva opinione di coloro che vedrebbero Davide come autore del salmo, tenendo conto della brevissima nota finale del v. 20, sempre omessa nel testo liturgico, ma che recita così: “Fine dei salmi di Davide figlio di Iesse”. Mi sembra alquanto affascinante tale eventualità perché avrebbe come destinatario dello scritto il proprio figlio (Salomone) verso il quale il padre (Davide) canta il proprio augurio.
Destabilizzanti mi sembrano tuttavia le ricadute di tale supplica.In tempi in cui si abusava della forza e della ricchezza per opprimere il debole e il povero, chiedere che proprio colui che detiene il potere politico, religioso e sociale (il re, anche se il proprio figlio), amministri con giustizia, pace e rettitudine… mi sembra un fatto sbalorditivo. Forse questa preghiera è l’attuazione del totale ravvedimento di Davide, magari dopo il suo Miserere, in vista ormai della sua morte…
La preghiera del salmista, in ogni caso, osa spingersi ancora più in là: “O Dio, metti in bocca al re i tuoi stessi giudizi”. Suona così una traduzione alternativa e vicina al senso letterale dell’incipit salmico. I credenti potrebbero fare propria questa espressione quando pregano per i loro governanti…
Di certo i primi cristiani hanno visto concretizzarsi la profezia di questo salmo in Gesù di Nazareth, “unto con lo Spirito del Signore e mandato ad annunziare ai poveri il lieto messaggio, a proclamare ai prigionieri la liberazione” (Lc 4,18ss).
La giusta contestualizzazione del nostro poema, pregato come risposta a Is 11,1-10 nella seconda domenica di Avvento, fa chiaramente emergere la portata messianica universale del salmo perché riprende il brano profetico nel quale viene descritto che “lo spirito del Signore si posa sul germoglio del tronco di Iesse”.
Mentre facciamo nostro – nella preghiera – l’augurio del salmista, dovremmo impegnarci a estendere “da mare a mare, dal fiume ai confini della terra il dominio del re”. Come? Facendoci attrarre da Gesù, vero Messia, fonte della vera sapienza: “La regina del sud si leverà a giudicare questa generazione e la condannerà, perché essa venne dall’estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone; ecco, ora qui c’è più di Salomone” (Mt 12,42).